Il ragazzo e l’airone (2023)

Articolo a cura di Dani Ironfist

IL RAGAZZO E L’AIRONE (2023)

Il 2024 è appena iniziato e si parte a bomba con quello che probabilmente è l’ultimo film del maestro Hayao Miyazaki.

Annoverato come uno dei migliori registi e sceneggiatori di anime, grazie alle sue profonde opere ha lasciato il segno nell’animazione giapponese con assoluti capolavori come “Nausicaà della valle del tempo”, “La città incantata” e “Il castello errante di Howl”, giusto per dirne tre.

“Il ragazzo e l’airone” era atteso da molto tempo, sono infatti trascorsi ben dieci anni dalla sua ultima opera “Si alza il vento”, di cui sette anni dedicati alla gestione di questo nuovo lungometraggio bloccato spesso da molteplici problemi, tra i quali anche il Covid. L’attesa non è stata vana e “Il ragazzo e l’airone” è un film che ci condurrà attraverso i meravigliosi mondi di Hayao Miyazaki in un susseguirsi di spettacolari immagini che faranno da sfondo alle vicende del nostro protagonista.

Mahito è un ragazzino di 12 anni che perde la madre durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale a Tokyo, un fatto questo che lo segnerà molto e che gli procurerà innumerevoli difficoltà quando si dovrà trasferire con la matrigna in campagna. A catturare la sua attenzione sarà un airone cenerino che vola intorno alla casa, l’airone riuscirà a convincere Mahito a seguirlo dicendogli che sua mamma è ancora viva. Mahito sarà così catapultato alla ricerca di sua madre in un mondo fantastico abitato da bizzarri personaggi e creature di ogni tipo.

Nel 2013, dopo l’uscita dell’undicesimo lungometraggio di Hayao Miyazaki come regista, “Si alza il vento”, l’artista aveva annunciato il suo ritiro. Quel film, un film biografico sulla vita dell’ingegnere aeronautico Jiro Horikoshi intriso delle immagini fantastiche per cui Miyazaki è meglio conosciuto, parla della vita, della ricerca della felicità in un mondo che fa di tutto per spegnerla. Per fortuna, Miyazaki ha rimandato il suo ritiro, tornando con un cortometraggio nel 2018, e ora con questo lungometraggio, “Il ragazzo e l’airone” un’opera d’arte che non solo conferma la sua predilezione per la creazione di nuovi regni, ma probabilmente sarà l’opera finale per l’artista, anche se ci sono voci secondo cui è tornato al lavoro su un altro film.

“Il ragazzo e l’airone” riprende più o meno da dove si era interrotto il dramma di Miyazaki sulla Seconda Guerra Mondiale, “Si alza il vento”.

Il pubblico occidentale in molti casi tende a dare per scontato che i film animati siano fatti solo per bambini, cosa che ho trovato sempre sbagliata. In Giappone lo sanno bene e, insieme a molti altri film dello Studio Ghibli, “Il ragazzo e l’airone” pur essendo fruibile anche da parte degli spettatori più giovani, è probabile che molti bambini non colgano a pieno alcune delle complessità tematiche o delle astrazioni visive da cui dipende il film. Ci sono scene di sangue, violenza e pericolo che rendono questo film inadatto a un pubblico troppo sensibile o a bambini troppo piccoli, ma i più grandi non dovrebbero avere problemi durante la visione, a condizione che riescano a tenere il passo con la trama e le vicende che vedono coinvolti i numerosi personaggi.

Come tutti i film di Hayao Miyazaki, questo film è stupendo, pieno di vita, fascino e personalità come anche molte delle produzioni dello Studio Ghibli. Ogni fotogramma praticamente parla da solo con dettagli e colori meravigliosi. Un design molto classico che regala gioia per i nostri occhi mentre vediamo scorrere tutti i personaggi, dall’airone che sembra una mutaforma con al suo interno un bizzarro ometto dal naso grosso che può essere maestoso, divertente o terrificante a seconda dell’umore. Se amate le vecchiette di Miyazaki qui ne trovate ben sette, le simpatiche vecchiette che accudiscono la famiglia una volta trasferitosi nella nuova dimora, questo non è l’unico riferimento a Biancaneve che si può notare nel film. Se poi adori le piccole cose da sempre create dal maestro Miyazaki allora rimarrai estasiato quando lo schermo sarà invaso da un esercito di Warawara, un vero spettacolo per gli occhi.

Nonostante la sua eccellenza complessiva, questo film non ti darà nemmeno la chiara semplicità narrativa di “Si alza il vento”.

Mahito affronta un viaggio incredibile e molto rischioso durante il quale vengono toccati temi complessi su cui si viene spinti a riflettere e ad arrivare alle proprie conclusioni senza che ci venga fornita una risposta pronta calata dall’alto. Probabilmente non è il miglior film di Miyazaki come non lo è dello Studio Ghibli, personalmente “La città incantata” e “La storia della principessa splendente” sono di un altro pianeta ma non si può negare che con “Il ragazzo e l’airone” il maestro abbia aggiunto alla sua grande carriera un altro enorme tassello con un film che emoziona, fa riflettere e ti lascia incollato allo schermo in un viaggio lungo due ore ma che alla fine sembrano 20 minuti e aperto a molteplici interpretazioni.  Eccezionale!

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Top & Flop 2023

Articolo a cura di Dani IronFist & Frina

Dopo la parentesi dello scorso anno con il nostro Top & Flop andato in onda nella diretta sul nostro canale Twitch, torniamo alla versione scritta in questo articolo dove come sempre da nostra consuetudine prendiamo in considerazione i film usciti in Italia nel corso del 2023 per questo motivo nel listone potrebbero esserci anche film del 2022.

Partiamo!

HORROR / THRILLER

IL PODIO

DECISION TO LEAVE

A distanza di ben 7 anni dal meraviglioso “Mademoiselle” torna il maestro sud coreano Park Chan-wook con un grande thriller dalle atmosfere alla Hitchcock.

Un film meraviglioso che ci ha letteralmente estasiati!

Trovate la nostra recensione al seguente link.


PEARL

Uno dei film più attesi di questa annata non ha deluso le nostre aspettative e il prequel di “X – A Sexy Horror Story” si aggiudica lo status di miglior film horror dell’anno. Ti West è un genio e ci fa godere attraverso la mente di una serial killer con un talento visivo che vola alto. Ora attendiamo il sequel di “X” che completerà la trilogia.


PIGGY

Al terzo posto il meraviglioso revenge movie diretto da Carlota Pereda.

Un grande film passato purtroppo in sordina a causa della concomitanza di “Barbie” nelle sale e qui devo tirare un po’ le orecchie ai distributori, dato che il film è del 2022 si poteva far uscire in un periodo migliore per dargli più visibilità.

Qui trovate la nostra recensione.


IN ORDINE CASUALE:

INFINITY POOL

Gran bel ritorno per il figliol prodigo Brandon Croneneberg, non finisce sul podio per poco e il film è uno di quelli che mi hanno più inquietato nel 2023.

Come in “Pearl” è protagonista una super e straordinaria Mia Goth.

Per ulteriori dettagli vi rimandiamo alla nostra recensione che trovate qui.


TALK TO ME

Tra i più belli e originali horror usciti nel 2023 c’è sicuramente questa perla dei fratelli Philippou.

Un film che parte in sordina ma che poi non ti lascia un attimo di tregua con alcune scene anche abbastanza disturbanti e con un colpo di scena che lascia il finale aperto a diversi scenari. Trovate la nostra recensione qui.


SISU – L’IMMORTALE

Davvero una gran bella sorpresa questo horror finlandese diretto da Jalmari Helander per un film fuori da ogni logica ma che ci ha divertito un monte. Teste che esplodono, arti mutilati, sangue grondante per un film senza un attimo di tregua.

100% exploitation come piace a me! Disponibile su Prime video.


HAI MAI AVUTO PAURA?

La tristezza di averlo visto in sala da soli ha poi fatto spazio alla consapevolezza che, se vogliamo, in Italia riusciamo a fare ottimi horror. E’ il caso di questo film diretto da Ambra Principato, un horror che si inserisce nel filone dei licantropi con una regia solida e una sceneggiatura ben costruita che regala suspence e paura senza mostrare una goccia di sangue.


BUSSANO ALLA PORTA

Ottimo ritorno per M. N. Shyamalan che ci regala un thriller apocalittico con un ottimo Dave Bautista.

Stile inconfondibile del regista che riesce sempre a tenere alta la tensione per tutto il film.

Trovate la nostra recensione qui.


SKINAMARINK

Dal Canada grazie a Midnight Factory è arrivata questa perla diretta dal regista Kyle Edward Ball.

Un horror innovativo e sperimentale che riesce a spaventare nonostante la videocamera fissa e non si vede mai nulla. Esempio in cui spaventare diventa una forma d’arte.

Da non perdere su Midnight Factory channel.


DEMETER – IL RISVEGLIO DI DRACULA

Film passato in sordina a causa di una misera distribuzione nelle sale, peccato perché “Demeter” è un veramente un bel film con delle trovate geniali e una fotografia maestosa.

L’inizio del film è folgorante e il resto del film si dilata su ottimi livelli di qualità. Il film è ora disponibile su Prime Video.


TERRIFIER 2

Finalmente!! E dico, finalmente negli Usa sono tornati a fare horror con mostri e villain assassini e spietati come nel caso del due capitoli ideati da Damien Leone. Non sarà il massimo dell’originalità ma chi se né frega! Violenza, mutilamenti, splatter e ironia come non si vedeva da tanto tempo e l’icona Art the Clown lanciata nell’olimpo dei più terrificanti villain di sempre.

Qui trovate la nostra recensione in anteprima dal Fi Pi Li Horror festival.


PROJECT WOLF HUNTING

Dalla Corea del Sud la fiera dello splatter per un film schizzatissimo e che farà la gioia degli amanti del genere.

Tra ossa e casse toraciche sfondate, arti mutilati e squartamenti di vario genere c’è da divertirsi nonostante il film soffra di scarsa originalità e situazioni no sense. Resta il fatto che negli Usa non sanno fare più neanche film come questo.


MAD HEIDI

Anche se qui le caprette non fanno ciao alla nostra eroina versione exploitation, “Mad Heidi” è un film che mi ha fatto letteralmente impazzire. Una horror/comedy che omaggia il cinema grindhouse degli anni 70 con molti riferimenti al Tarantino di “Kill Bill”.

Buon ritmo, si ride e si gioisce per un film che ci ha divertito un monte.

Qui la nostra recensione.


IL CONVEGNO

Una bella sorpresa questo horror scandinavo targato Netflix, un feroce attacco alla speculazione immobiliare e al capitalismo in un buon slasher diretto da Patrick Eklund.

Trovate la nostra recensione qui.


THANKSGIVING

Non sapevo se metterlo nel meglio o ignorarlo proprio visto che di metterlo nel peggio non me la sentivo. Il film parte comunque a bomba con la sequenza iniziale durante il Black friday che mi ha ricordato gli zombi di Romero accalcati al supermercato, dopo di che si trasforma in un normalissimo slasher che non apporta niente di nuovo al genere.

“Thanksgiving” si salva in calcio d’angolo perché Eli Roth è una bravo regista e le scene di mattanza umana sono come al solito sublimi.


I FLOP HORROR

L’ESORCISTA DEL PAPA

Russell Crowe svogliato e imbolsito in sella a quel vespino è una delle cose più comiche che abbia mai visto in vita mia.

Un film pieno zeppo di strafalcioni ed errori grossolani in fase di montaggio. Ma chissà, forse è stato volutamente fatto così ma più che esorcista sembra il supereroe del Papa.

Qui la recensione.


L’ESORCISTA – IL CREDENTE

E basta!!! Non se ne può più di tutti questi prequel, requel, sequel, spin off e cazzi e mazzi se poi si deve andare a toccare un capolavoro come “L’esorcista” in un modo così indegno.

Un film senza senso logico.


LA CASA – IL RISVEGLIO DEL MALE (EVIL DEAD RISE)

Enorme delusione per il sottoscritto ma la colpa è mia che mi aspetto sempre qualcosa di buono dall’horror americano.

Se i film di Sam Raimi ti facevano ridere per la sua dose di ironia e ti spaventavano a morte soprattutto nel primo capitolo del 1981 in questo film non esiste nessuna delle due situazioni dato che il film non spaventa, non inquieta e non fa neanche ridere. Tutto quello che invece un horror dovrebbe fare.


SCREAM VI

Altro giro altra corsa per una saga ormai esaurita da anni con la scomparsa del grande Wes Craven.

Un film infarcito di cliché senza cuore e anima che punta solo sul fattore nostalgia sulla scia della recente trilogia di “Halloween”.


SHARK 2 – L’ABISSO

Ammetto che con qualsiasi film dove i protagonisti sono mostri giganti mi diverto sempre un monte come anche in questo caso. Ma se mi metto a riflettere non capisco perché un regista come Ben Wheatley passi da filmoni come “Kill List ” e “I disestori” a sta roba, che si diverte ma il film è comunque di una bassezza incredibile.


NON SOLO HORROR

Ed eccoci allo spazio dei film che più ci sono piaciuti nel 2023 al di fuori dei confini dell’horror/thriller.

IL PODIO

BEAU HA PAURA

Dopo il polanskiano “Hereditary – Le radici del male” e il meraviglioso folk horror “Midsommar – Il villaggio dei dannati”, Ari Aster esplora la mente umana attraverso le mirabolanti gesta di Beau, interpretato da un grandissimo Joaquin Phoneix.

Uno straripante incrocio tra David Lynch e Stanley Kubrick, tra 20 anni forse vi accorgerete del valore artistico di Ari Aster.

Miglior film del 2023 senza se e senza ma!

Su Spotify trovate la puntata di Movie Lovers dedicata al film.


KILLERS OF THE FLOWER MOON

Il ritorno del maestro Martin Scorsese non delude le aspettative anche se a mio parere è leggermente inferiore a “The Irishman”,

Per fortuna che Apple TV non è come Netflix che monopolizza i suoi film e abbiamo così avuto il privilegio di vedere questa mastodontica opera di Martin Scorsese al cinema e in lingua originale con uno stratosferico Leonordo Di Caprio. 206′ minuti di grande cinema e la gente ha pure il coraggio di lamentarsi!!

Robert De Niro che sculaccia Leonardo Di Caprio è il photo frame top del 2023!


IL MONDO DIETRO DI TE

Un grande film ricco di simbolismi che descrive amaramente il mondo in cui viviamo e il rincoglionimento della popolazione. “Il mondo dietro di te” è un film visivamente spettacolare che offre numerosi spunti di riflessione e aperto a diverse interpretazioni.

Trovate la nostra recensione con analisi approfondita qui.


IN ORDINE CASUALE:

OPPENHEIMER

Che dire? Non è un capolavoro come molti sostengono, deve molto del suo successo al fenomeno del “barbienheimer” perché a mio avviso senza la spinta di “Barbie” avrebbe incassato più o meno le stesse cifre di “Killers of the Flower Moon” data la sua lunghezza.

E’ comunque un grande film che mi son goduto in sala energia a Melzo e vola dritto nel podio dei miei film preferiti di Christopher Nolan.


RAPITO

Dopo il bellissimo “Esterno notte” il maestro Marco Bellocchio è tornato con questa perla che sfiora di poco il capolavoro e che racconta la storia vera di Edgardo Mortara, un giovane ebreo di Bologna che fu rapito nel 1858 dalla casa di famiglia dai soldati papali.

Miglior film italiano dell’anno!


C’E’ ANCORA DOMANI

Tanto, tanto amore per questo film di Paola Cortellesi e il suo coraggio di mettere in scena un film in bianco e nero che descrive uno spaccato del secolo scorso.

Un film bellissimo e ben recitato con un inaspettato colpo di scena finale.

Una delle soprese di quest’anno!!


THE OLD OAK

Il maestro Ken Loach è riuscito di nuovo a commuovermi, “The Old Oak” è un film magnifico su un dramma sociale e ancora una volta pieno di empatia per tutti personaggi che lo interpretano.
Come dico da un po’ di tempo, i film di Ken Loach andrebbero fatti vedere nelle scuole, allora sì che il mondo diventerebbe un posto migliore.


ADAGIO

Trovo incredibile che finalmente siamo tornati a fare del noir come ai tempi del poliziottesco all’italiana. Stefano Sollima non delude mai e “Adagio” è un film che si colloca a metà strada tra il noir e il gangster movie con un grande e irriconoscibile Favino.
Ambientato in una Roma quasi distopica e divorata da un caldo opprimente racconta una storia basata sul dramma esistenziale con molta suspence e situazioni meno esplosive rispetto a quanto ci ha abituati Sollima. Un grande film con un cast in splendida forma!


GODZILLA MINUS ONE

Diretto dal grande Takashi Yamazaki e prodotto dalla Toho studios Canon il film si colloca a metà strada tra dramma storico e disaster movie. Un film sulla ricostruzione dopo la distruzione, su amici, famiglie e comunità che si uniscono per affrontare le forze implacabili che li minacciano, e parla di seconde possibilità.

Un grande film che glorifica il ritorno di uno dei mostri più iconici della storia del cinema a 70 anni dall’uscita del primo storico Godzilla di Ishiro Honda


ASTEROID CITY

Il ritorno di Wes Anderson è stato per noi uno dei più attesi, e questo nonostante la delusione derivata da “The French Dispatch of Liberty”.

“Asteroid city” segna un grande ritorno al cinema per Wes Anderson con un’opera corale malinconica e a tratti spietata. “Asteroid city” è un mosaico creato dal regista texano sulla paranoia, la guerra fredda e i valori della famiglia americana con tutta la loro ipocrisia.

Decisamente un grande ritorno!


L’ULTIMA NOTTE DI AMORE

Che sarebbe stata una bella annata per il cinema italiano lo si era capito già ad inizio anno con il film di Andrea Di Stefano. Un meraviglioso noir girato e ambientato quasi interamente in tangenziale a Milano che per certi versi ricorda lo straordinario “Milano calibro 9” del grande Fernando Di Leo, soprattutto nella spettacolare sequenza iniziale nei titoli di testa.

Un grande, grandissimo film!!


IO CAPITANO

Che Matteo Garrone sarebbe diventato il miglior regista italiano attualmente in attività lo dico ormai dai tempi del film “L’imbalsamatore”. “Io capitano” non fa eccezione e porta al cinema la storia vera di due ragazzi che nell’impresa di affrontare il deserto, i centri di detenzione in Libia e la traversata nel mar Mediterraneo cercano di raggiungere l’Europa dal Senegal. Matteo Garrone mette così in scena un dramma in cui descrive tutto il marcio e la corruzione che c’è dietro a tutto questo. Un filmone che al contrario di quanti vogliono far credere sta ricevendo molti consensi dalla critica e non solo.


CENTO DOMENICHE

Antonio Albanese aveva già dimostrato in passato di avere a cuore molte dinamiche sociali, lo si intuiva ad esempio nel bellissimo “Contromano” del 2018. E qui ci racconta la commovente storia di Antonio che dovendo pagare il matrimonio della figlia, scoprirà, suo malgrado, che chi custodisce i nostri tesori non sempre custodisce anche i nostri sogni.

Un film meraviglioso che conferma l’eccezionale stato di salute del cinema italiano. Avanti così!!


E il 2024?

Da parte nostra la più grande attesa riguarda David Cronenberg, il suo nuovo film dal titolo “The Shrouds” è atteso per la seconda metà dell’anno.

Grandi attese per il “Nosferatu” di Robert Eggers, “Poor Things” di Yorgos Lanthimos e per “Furiosa – A Mad Max saga” di George Miller ai quali si aggiungono “Dune parte 2” di Denis Villenueve, “MaXXXine” di Ti West e “They Follow” (il sequel del bellissimo “It Follows”) di David Robert Mitchell.

E speriamo tra l’altro di vedere pubblicato qui da noi “Suitable Flesh” di Joe Lynch, un film che personalmente attendo tantissimo.

Appuntamento quindi a fine 2024 per i top & flop, cogliamo l’occasione per comunicarvi che finalmente torneremo live sul canale Twitch da gennaio con le nostre rubriche e una novità che sarà annunciata a breve!

Stay soon!


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Il mondo dietro di te (2023)

Articolo a cura di Dani Ironfist & Frina

IL MONDO DIETRO DI TE (2023)

“Il mondo dietro di te” è un film del 2023 del regista statunitense Sam Esmail, conosciuto per i film “Comet” (2014) e, soprattutto, per essere il creatore della serie tv “Mr. Robot” (2015) e prodotto da Netflix.

Il film comprende un cast d’eccezione: Julia Roberts, Ethan Hawke, Mahershala Ali e Kevin Bacon che andrà ad aggiungere al film un valore aggiunto, soprattutto per la splendida prova di Julia Roberts. Prodotto da Barack e Michelle Obama, “Il mondo dietro di te” è il film apocalittico perfetto per il periodo nel quale stiamo vivendo. Ma andiamo con ordine perché qui le cose da dire e su cui riflettere sono molte.

Basato sull’omonimo romanzo di Rumaan Alam del 2020, “Leave the World Behind” vede Amanda Sanford (Julia Roberts), una pubblicitaria stressata dal lavoro e ormai insofferente alla gente, affitta online un appartamento per trascorre una breve vacanza con la sua famiglia composta dal marito Clay (Ethan Hawke) e i due figli Rose (Farrah Mackenzie) e Archie (Charlie Evans).

Appena arrivati però notano che non funzionano la rete wi-fi e la televisione. Durante la notte bussa alla porta G. H. Scott (Mahershala Ali) con la figlia Ruth (
Myha’la Herrold). Scott afferma di essere il proprietario della casa e chiede di potersi fermare per la notte insieme alla figlia poiché si trovano in difficoltà a causa di uno strano blackout che si sta verificando in città. Nonostante Amanda sia molto diffidente Clay decide di fidarsi e permette loro di restare per la notte. Con il passare dei giorni iniziano a verificarsi dei fenomeni strani e incomprensibili anche perché, senza collegamento internet e segnale televisivo, non è possibile reperire informazioni e capire cosa sta accadendo in città e nel resto del mondo.

Questo forzato isolamento dal mondo esterno porta i protagonisti a interagire soltanto tra di loro o quasi ma permette, seppur in un piccolo microcosmo, di analizzare in modo interessante alcuni aspetti problematici del mondo moderno in particolare i rapporti umani e la dipendenza dalla tecnologia.

Nonostante questo film non contenga tutte le risposte, aiuta a porsi le domande giuste e ad arrivare alle proprie conclusioni e valutazioni.

Un valore aggiunto è che, nonostante possa esser considerato un film post-apocalittico”, il film è visivamente molto bello soprattutto per quanto riguarda le ambientazioni all’interno della casa. Potrebbe anche essere scelta voluta per collocare anche visivamente i protagonisti in un certo status sociale medio/alto e rappresentare l’americano medio che ha accesso alle tecnologie all’avanguardia che, da una parte, gli hanno migliorato la vita ma, dall’altra, lo hanno portato a dipendere troppo da essa. Non a caso appena entrano nella casa di villeggiatura la prima cosa a cui pensano e la connessione wifi.

Il film di Sam Esmail con le sue allusioni ad Alfred Hitchcock e i movimenti di macchina di scuola M. Night Shyamalan disorientano lo spettatore e gli provocano un imperdibile senso di terrore. Sam Esmail riempie il film di simbolismi e spunti di riflessione creando una storia intricata e realistica di sopravvivenza, mostrando come la costante divisione negli Usa renderà facile il crollo della nazione quando una minaccia estrema alzerà la testa.

Durante il film vengono diffuse tonnellate di disinformazione, che creano molta confusione nella società. Sembra una nuova versione della circolazione delle fake news che ha recentemente colpito il mondo durante la pandemia, cosa che è stata possibile solo grazie ai recenti progressi tecnologici.

Il film mostra molte sequenze da incubo ma che non sono piene di sangue o di tutto quello che lo spettatore potrebbe aspettarsi di vedere in un tipico film sulla “fine del mondo”. Invece, l’orrore che vediamo in questo film è l’attacco alle cose che usiamo nella nostra vita quotidiana. Una scena raffigura le Tesla che a causa dei blackout impazziscono e si autodistruggono, mentre un’altra vede i personaggi attaccati da un suono misterioso. L’attacco sonoro ricorda tra l’altro la sindrome dell’Avana, avvenuta a Cuba solo pochi anni fa. Questo evento è persino menzionato nel film, dimostrando come durante tutto il film il tentativo del regista di donare una sensazione di vita reale, il che rende il tutto ancora più terrificante.

Il finale che in tanti hanno detestato a me1 è piaciuto tantissimo ed è aperto a molte interpretazioni e se conosci Sam Esmail e “Mr. Robot” sai che puoi aspettarti un finale così inaspettato e aperto a qualsiasi interpretazione. Non per qualche elemento particolare del finale, ma piuttosto perché non è definitivo. Anche in film con finali definitivi sono solo una parte della storia e tutto potrebbe cambiare nella scena successiva che non vedremo.

Chissà, magari potremmo avere un seguito o uno spin-off, tutto è possibile, poiché potremmo vivere gli eventi da un altro luogo come, ad esempio succede nei capitoli di “A Quiet Place”.

“Il mondo dietro di te” per quanto mi riguarda è uno dei migliori film del 2023 e uno dei migliori film mai prodotti da Netflix che richiede attenzione e senso logico di interpretazione per essere capito a pieno.

1 Dani Ironfist

Analisi con spoiler a cura di Frina

Molto spazio viene dato all’analisi dei rapporti interpersonali e di fiducia delle persone.

Amanda, infatti, a causa del suo lavoro, sente sia il bisogno di allontanarsi dalla città per staccare, almeno per qualche giorno, da una sorta di socializzazione forzata la quale la sua professione la costringe e che la rende insofferente nei confronti delle persone. È anche molto diffidente nei confronti del prossimo. Dubita, infatti, anche della vera identità di G. H. Scott. Questo è comprensibile perché non ha mai interagito direttamente con il proprietario durante la fase di prenotazione. Questa è una situazione che ci è molto familiare, quante cose facciamo tramite siti internet o applicazioni con interazioni minime con altri essere umani e senza sapere fino in fondo con chi stiamo interagendo? Si può fare di tutto, dall’ordinare una cena a domicilio all’affittare un appartamento per una breve vacanza. Non serve nemmeno fare i nomi delle applicazioni poiché le consociamo benissimo tutti.

Come già accennato, un altro tema fondamentale, è la dipendenza dalla tecnologia, in particolare dallo smartphone e da internet. Non c’è dubbio che nel mondo odierno non è possibile farne a meno e ha portato indubbi vantaggi e senza connessione saremmo persi e tagliati fuori dal mondo proprio come i nostri protagonisti che non riescono a interpretare le cose insolite che stanno capitando. Però il delegare tutto alla tecnologia ci ha disabituato a cavarcela con i nostri mezzi. Clay, ad esempio, quando esce in macchina per andare in città a cercare informazioni si trova in difficoltà ad orientarsi per la mancanza del GPS.

Emerge inoltre l’importanza dell’informazione e quanto potere possa derivare dal manipolarla o interromperla.  G. H. confessa a Clay che, grazie ad un suo amico molto influente politicamente, potrebbe avere un’idea di quello che sta succedendo e cioè che alcuni non ben precisati (o perlomeno i candidati potrebbero essere molti) paesi nemici dell’America, tramite, da una parte, l’interruzione delle informazioni, dall’altra tramite la disinformazione stanno cercando di attuare un colpo di stato senza troppo sforzo sfruttando il caos che è stato generato nel paese.

Una critica che potrebbe essere fatta a questo film è che, nel finale, molte cose vengono lasciate in sospeso e spiegate solo in parte. Secondo me questo non è un difetto e alla fine non è realmente importante sapere di preciso chi ha fatto piombare la città e in generale gli Stati Uniti nel caos apocalittico. Resta certamente il fatto che gli USA si sono fatti moltissimi nemici e alla fine non importa chi ha deciso di attaccarli, se uno o l’altro o tutti ma il fatto stesso che ci sano tanti possibili candidati (ad esempio sono stati trovati in diverse zone volantini scritti in diverse lingue).Viene evidenziata anche la fragilità del mondo occidentale, moderno e ipertecnologico ma così dipendente dalla tecnologia da essere facilmente vulnerabile a un attacco che utilizza il malfunzionamento della tecnologia e la mancanza di informazioni per mandare il paese nel caos di una guerra civile.

Molto significativo è anche il finale nel quale Rose, la figlia più piccola di Amanda e Clay, si introduce nel bunker della casa dei vicini e tramite una videocassetta riesce finalmente a vedere l’ultima puntata della serie “Friends”. La ragazzina è infatti ossessionata da questa serie e a causa del blackout non era riuscita a vedere l’ultima puntata. Sembra assurdo che la sua preoccupazione sia vedere una serie tv quando il mondo è nel caos? Penso che a volte nella vita, anche se ci illudiamo di avere il pieno controllo, molte cose che ci capitano sono indipendenti dalla nostra volontà. E l’unica cosa che ci rimane e che ci permette di andare avanti e affrontare la realtà sono le piccole cose, le nostre piccole passioni che spesso sono importanti solo per noi e difficili da capire per gli altri.

Alla fine, si può dire che vengono fatte molte domande ma non vengono date tutte le risposte e ciascuno può dare la sua libera interpretazione e trovare lungo il film diversi spunti di riflessione personali.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror.

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Dario Argento – Panico (2023)

Articolo a cura di Dani Ironfist

DARIO ARGENTO – PANICO (2023)

“Dario Argento – Panico” è un docufilm diretto da Simone Scafidi e prodotto dalla Paguro Film di Giada Mazzoleni. Il film segna anche il ritorno di Simone e Giada a collaborare insieme dopo il bellissimo “Fulci for Fake” del 2019, docufilm incentrato sulla vita e la carriera di Lucio Fulci.

“Panico” non si discosta molto da “Fulci fo Fake” come stile ma se nel docufilm dedicato a Lucio Fulci avevamo Nicola Nocella nel doppio ruolo di attore e intervistatore ad impersonare il terrorista dei generi, in “Panico” è proprio lo stesso Dario Argento ad interpretare sé stesso.

I fan più affezionati del maestro sanno che di solito Dario Argento per la stesura della sceneggiatura dei suoi film si isola dal mondo e si trasferisce in solitaria in un Hotel lontano dal caos cittadino.

“Panico” inizia proprio così, insieme al suo agente decide di tornare in un albergo per concludere la sua nuova sceneggiatura e per essere intervistato da una troupe che sta girando un film che parla di lui. Le cose però non vanno come previsto e Dario Argento non si sente a suo agio, mentre cerca di trovare la tranquillità sia per terminare la stesura del suo film, sia per confidarsi con chi lo sta intervistando. Ma il demone del cinema, che non lo ha mai abbandonato lo spingerà, ancora una volta, a darsi totalmente e a esorcizzare tutti i suoi demoni del passato.

Interessante il lavoro e la ricerca di Simone Scafidi per raccontare la storia di uno dei nostri maestri più amati e stimati in Italia e nel resto del mondo.

Il docufilm è diviso in tre capitoli che ripercorrono gran parte della sua carriera (soprattutto gli anni 70 e 80) e i film più celebri, ad inizio film sono presenti subito interventi di Guillermo Del Toro, Gaspar Noé e Nicolas Winding Refn tutti e tre con parole di enorme stima nei suoi confronti come a rimarcare l’importanza di un regista del suo calibro.

Il primo capitolo è incentrato sulla genesi del regista, viene raccontato l’inizio carriera prima di mettersi dietro la macchina da presa compresa l’amicizia che lo legava a Sergio Leone per il quale aveva scritto la sceneggiatura di “C’era una volta il West” fino ad arrivare al suo esordio con il giallo “L’uccello dalle piume di cristallo”, il tutto è intervallato dalle interviste alla sorella di Dario, all’ex moglie Marisa Casale e allo stesso Argento che, all’interno dell’hotel, si confida con la troupe che lo sta intervistando.

Il secondo capitolo è incentrato sulla parte più horror della sua carriera che va da “Suspiria” a “Opera”, a tal proposito ci sono parti in questo capitolo che risultano a tratti molto commoventi, soprattutto l’intervento dell’attrice Cristina Marsillach, protagonista in “Opera” del 1987, in cui racconta, visibilmente emozionata, la sua esperienza con Dario Argento.

Nel corso della prima e seconda parte assisteremo anche a filmati d’epoca alternati al presente con Dario Argento intento ad esorcizzare i suoi demoni che sembrano farne preda anche in tempi odierni e il tutto è condito da interventi di amici e colleghi da Michele Soavi a Luigi Cozzi fino ad arrivare a Claudio Simonetti, autore di gran parte delle colonne sonore.

La terza e ultima parte del film è invece più incentrata sulla famiglia e sulle figlie Fiore e Asia. Quest’ultima si confida molto davanti alla videocamera, si mette a nudo per raccontare sé stessa e il rapporto, non sempre semplice, con il padre che era anche regista sul set di molti film che la vedevano protagonista.

La parte più interessante è senz’altro quella in cui emerge il contrasto tra il giovane Dario Argento euforico ed entusiasta per quello che sta creando e il Dario Argento di oggi. Il regista in questo film si mostra più fragile e con una voce sottile e rende perfettamente l’idea della persona che è ora. È un dualismo questo che si ripete spesso durante il film: il maestro delle origini innovatore per lo stile di riprese e quello più soft di oggi.

Simone Scafidi dopo il meritato successo di “Fulci for Fake” torna con un docufilm che farà sicuramente la gioia dei fans più accaniti e sarà al tempo stesso una bella occasione per chi ha amato i suoi film di trovarsi di fronte, per certi aspetti, ad un inedito Dario Argento.

L’unica pecca è di aver saltato la collaborazione con George A. Romero e la profonda amicizia che li legava ma rimane comunque un grande excursus sulla carriera di uno dei registi italiani più amati in tutto il mondo.

Come per “Fulci for Fake” anche “Dario Argento – Panico” uscirà nei prossimi mesi con Midnight Factory.

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Vermin (2023)

Articolo a cura di Dani Iron Fist

VERMIN (2023)

Vi ricordate quel mitico cult dal titolo “Aracnofobia” del 1990? Il debutto alla regia del francese Sébastien Vanicek dal titolo “Vermin” prende spunto dal film di Frank Marshall e lo estremizza, realizzando così uno degli horror più frenetici ed efficaci degli ultimi anni che abbiamo visto in anteprima al Fantasticon film festival a Milano.

“Vermin” segna il debutto alla regia di Vanicek dopo una serie di notevoli cortometraggi, tra i quali spicca “Mayday”, un corto che raccontava la storia di un giovane in preda a violente crisi allucinatorie. (NB: I Patreon che hanno accesso ai nostri contenuti esclusivi possono vedere questo cortometraggio che abbiamo visto durante una puntata di “Into the short” sul nostro canale Twitch).

Il film è ambientato in un quartiere povero di Parigi dove il protagonista Kaleb (Théo Christine) vive. Kaleb alla soglia dei 30 anni si ritrova solo e a combattere una battaglia legale con la sorella a causa di un’eredità. Appassionato di insetti sogna di aprire un rettilario e un giorno torna a casa con un ragno raro e velenoso che si lascia sfuggire. Il ragno darà il via ad una vera invasione che invaderà tutto il palazzo. Kaleb dovrà lottare tutta la notte contro il tempo e contro i ragni, che diventano sempre più grandi, per salvare la sorella e i suoi amici. Ma dovrà scontrarsi anche con qualcosa che va oltre il suo immaginario.

Tutti i problemi interpersonali che dovranno affrontare i giovani protagonisti sono uno dei principali motivi per cui “Vermin” funziona. La sceneggiatura di Sébastian Vanicek e Florent Bernard non si concentra solo su paure e morti basate sugli aracnidi, ma, in realtà, si prende il tempo per farti entrare nelle paure di questi personaggi, e qui va fatto un plauso agli sceneggiatori che, finalmente, hanno dato vita ad un film horror dove si riesce ad approfondire i personaggi. All’inizio del film, la festa d’addio nell’appartamento della sua vicina e amica che si sta per traferire, aiuta a stabilire le dinamiche del gruppo e il cameratismo tra tutti loro. Questi personaggi sono alla fine un affiatato gruppo di amici, sono una famiglia con Kaleb che si dimostra anche solidale con gli abitanti del palazzo. Tutto questo rende ancora più tragico ciò che accade nel film.

Ma è la prova dei giovani attori che lascia il segno, soprattutto quella Théo Christine è molto forte offrendo un performance straziante nei panni di un giovane che cerca di capire quale sarà il suo posto nel mondo. Thèo Christine riesca a catturare ogni tumulto emotivo e riesce così a farti entrare nel cuore di Kaleb mentre continua ad affrontare le conseguenze violente dei suoi errori nella vita. Questa non è una horror/comedy sui ragni assassini, ma un film che vuole davvero darti un pugno al cuore mentre centinaia di gambe pelose ti scivolano sul corpo e iniziano a mietere vittime.

Poi, ovviamente, i ragni fanno paura eccome! Sono realizzati con una sorprendente CGI che viene tra l’altro mescolata con l’utilizzo anche di veri ragni. Sono lontani ormai i tempi di “Aracnofobia” dove era palese l’utilizzo di ragni marionette, era comunque il bello del film di Frank Marshall che era però più classificabile come una horror/comedy.

In “Vermin” il ritmo è frenetico grazie ad una buona idea di montaggio e a una sceneggiatura che funziona e non lascia un attimo di respiro fino ad arrivare ad un finale pazzesco nel quale i nostri giovani protagonisti dovranno affrontare un’altra minaccia, probabilmente, più pericolosa dei ragni stessi.

Chiudendo la recensione, “Vermin” è una potente scarica di adrenalina che vi lascerà inchiodati allo schermo per tutta la sua durata e va dato atto al regista Sébastien Vanicek di aver confezionato uno degli horror più sorprendenti di questo ultimo periodo.

Il film uscirà nei prossimi mesi con Midnight Factory, etichetta horror di Plaion Pictures.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror.

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Alien di Ridley Scott è più attuale adesso che nel ’79?

Editoriale a cura di Martin Quatermass

“Alien”, nel 1979, uscì in un universo post-femminista, post-pillola anticoncezionale, post-Stonewall,
quando un futuro egualitario sembrava non solo possibile, ma probabile. Tuttavia, “Alien” è diventato
così radicato nel firmamento della cultura pop che difficilmente ci soffermiamo a riflettere sul modo
in cui riflette la politica della sua epoca. È un peccato, perché “Alien” non è mai stato così attuale come
nel 2023.
Uscì sei anni dopo la sentenza Roe v. Wade, sette anni dopo che la Corte suprema rese legale l’uso di
anticoncezionali per le persone non sposate e dieci anni dopo che le rivolte di Stonewall diedero il via
al movimento per i diritti LGBT. Alla fine degli anni ’70, la controcultura giovanile degli anni ’60 aveva
da tempo normalizzato il sesso occasionale e prematrimoniale. Il feroce movimento cristiano anti-
choice, il contraccolpo antifemminista, l’epidemia di AIDS e il grande spostamento a destra degli anni
di Reagan erano di là da venire.

Eppure, “Alien”, in qualche modo, aveva previsto l’arrivo di una tempesta. Il film è ambientato sull’astronave Nostromo, che indaga su una richiesta di soccorso su un
pianeta lontano e trova prove di vita aliena e, altrettanto rapidamente, scopre che la “vita aliena” è
un’inarrestabile macchina assassina votata alla riproduzione. La sua trama è una sorta di allegoria in
cui un futuro di genere egualitario e sessualmente liberato viene fatto a pezzi da un mostro la cui
unica preoccupazione è ingravidare tutti contro la loro volontà.
Le politiche di genere di “Alien” sono sorprendentemente progressiste, anche oggi. La Ellen Ripley di
Sigourney Weaver è uno dei più grandi esempi di “protagonista femminile forte” del cinema. Non è la
moglie, la fidanzata o la madre di nessuno, un personaggio le cui caratteristiche principali sono il suo
infallibile buon senso e la sua capacità di mantenere la calma mentre tutti gli altri sono nel panico.


Ma una parte della sua grandezza, che rompe gli stereotipi di genere, deriva dal fatto che
inizialmente non era stata scritta come donna. Come è noto, tutti i ruoli della sceneggiatura originale
di “Alien” erano neutri dal punto di vista del genere, con il solo riferimento al cognome e l’aggiunta dei
pronomi quando i registi hanno assegnato le parti. Ripley non è mai costretta a conformarsi agli
stereotipi femminili e i membri maschi dell’equipaggio non la trattano in modo diverso da come
farebbero con un leader maschio, perché la sceneggiatura non definisce mai Ripley in base al suo
genere.
Quando lo Xenomorfo dà il via alla strage, il film diventa ancora più politico: “Alien” è un film sulla
tirannia del corpo sull’Io. La cultura e la tecnologia ci consentono un certo grado di autonomia
riproduttiva e sessuale. “Alien” parla di quanto sia terrificante vedersi sottrarre tutta questa facoltà da
qualcosa che ti definisce solo in base al tuo corpo, di come ci si senta a essere trasformati da un
essere umano a un contenitore carnoso che può essere usato per ospitare e far nascere i piccoli di
qualcun altro. Questo terrore è più vicino a noi nel 2023 di quanto non lo fosse nel 1979.
L’equipaggio della Nostromo incarna la politica sessuale verso la quale sembrava ci stessimo
muovendo alla fine degli anni ’70. I progressi nel controllo delle nascite, nell’aborto e nelle terapie
per l’affermazione del genere, insieme alla rinuncia alle norme (etero)sessuali, erano destinati a
creare un mondo in cui l’anatomia riproduttiva non definiva una persona e di fatto non era nemmeno
rilevante per la maggior parte del tempo.

Quando Ridley Scott e lo sceneggiatore Dan O’Bannon hanno concepito il loro mondo, sembrava improbabile che quei progressi sarebbero stati annullati. Eppure,
nel 2023, il parto forzato è sempre più un dato di fatto, negli Stati Uniti 13 Stati (più altri 11 che
vorrebbero seguire la stessa scia) hanno imposto un divieto totale all’aborto, con la previsione di
severe pene detentive tanto per le donne che si sottopongono a questa procedura quanto per i
medici e gli operatori sanitari che la praticano.
Quasi certamente Scott non intendeva fare di “Alien” una polemica sull’importanza dei diritti
riproduttivi, ma l’obiettivo degli alieni, che consiste nel costringere le persone a servire come bersagli
sessuali e riproduttori, che lo vogliano o meno, è condiviso dalla magistratura controllata dai

repubblicani (e non solo), dalla destra cristiana omofoba e anti-choice e in generale dalle varie
agende conservatrici.
La cultura, la tecnologia, la medicina – tutti gli strumenti che ci aiutano a vivere nei nostri corpi
mantenendo l’autonomia e l’agency su di essi – non sono solo necessari, sono ciò che ci rende umani.
“Alien” ci sembra vero, 45 anni dopo, perché comprende questa verità. Ci mostra che l’esistenza
animale bruta e insensata – una vita che si preoccupa solo di fare altri bambini, a qualunque costo – è
orrenda, terribile e distruttiva. Ma “Alien” è stato preveggente anche in un altro modo, che si sente
molto oggi: lo Xenomorfo non può fare a meno di uccidere le persone. In un certo senso, non ha
colpe.

Il vero nemico è la corruzione e l’avidità umana che ha mandato le persone nelle grinfie del
mostro; gli alieni possono uccidervi, ma solo perché gli umani li hanno lasciati entrare.

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L’occhio che uccide (1960)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

L’OCCHIO CHE UCCIDE (1960)

Oggi mi misurerò con uno dei pilastri del cinema horror, uno di quei film che ha contribuito a forgiare il sottogenere Slasher, e che ne anticipa gli stilemi con molta professionalità.

 Non è un film grezzo, ma bensì un thriller drammatico che mostra la psicologia del killer, e ce lo fa diventare quasi simpatico, o comunque ci fa empatizzare col suo stato, causato da traumi infantili forti, colpa di un genitore scellerato.

 Sto parlando di “Peeping Tom”,  ovvero “L’occhio che uccide”,  film diretto nel 1960 da Michael Powell.

Mark è un bel ragazzo gentile ed educato, che lavora in uno studio cinematografico. Nel tempo libero però realizza anche foto osé per un edicolante che poi le rivende.

 Mark ha però un terribile segreto : riprendere la paura, soprattutto in belle ragazze che poi uccide usando una lama che è nascosta nel cavalletto della sua macchina da presa. Le riprende nei pochi istanti prima di ucciderle, terrorizzate ed inermi.

 Mark poi rivede i filmati e ne prova piacere.

 Un giorno conosce la giovane Helen, in un certo senso se ne innamora, e le cose si complicano non poco. Per lui diventa difficile gestire il rapporto con la ragazza, perché di solito lui le donne le uccide.

Michael Powell riesce a mettere in scena un dramma dalle tinte forti, in un modo davvero ottimo. “L’occhio che uccide” è un film che viene poco nominato, ma che ha dato davvero molto al genere horror, ed è di una qualità davvero sorprendente.

 Se contiamo anche che, negli anni 60, non era così semplice mostrare certi temi, lo è ancora di più.

 Non è grezzo, né gore, ma è malsano quanto basta per farci inorridire vedendo i volti terrorizzati delle povere vittime, ma anche provare simpatia per Mark e anche, tifare per lui e Helen.

 Un killer decisamente atipico, ma trattandosi di un “proto-Slasher” è assolutamente normale. Un killer che uccide per necessità, perché non conosce altro sollievo se non il riprendere la paura prima della morte.

 E di fatti Mark si trova davvero in difficoltà quando incontra Helen, e lei dimostra interesse per lui.

 Lui sembra provare lo stesso, ma fatica ad abbandonare la sua macchina da presa, che è l’unica sicurezza della sua vita. Ne è prigioniero in un certo senso. Perché è un elemento della sua vita che lo accompagna da sempre.

 Helen invece è così presa che vorrebbe aiutare Mark fino all’estremo, e, anche quando ne scopre la vera indole, non mostra paura, ma coraggio.

 Una storia così non può avere lieto fine, e lo sappiamo bene. Ma per rispetto di chi può non conosce il film non rivelerò altro.

I colori della fotografia, tipici degli anni 60, in contrasto con le ombre danno un effetto in stile giallo thriller perfetto e contribuiscono a formare l’atmosfera giusta.

 Karlheinz Bohm, che è forse più noto per essere stato il principe Franz nella saga sulla principessa Sissi, è il perfetto ragazzo che all’apparenza non potrebbe mai essere scambiato per un pazzo criminale, ed è stata probabilmente una delle scelte vincenti.

Non può mancare se volete approfondire il genere.

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Space Vampires (1985)

Articolo a cura di Martin Quatermass

SPACE VAMPIRES (1985)

Ci sono alcuni film che sono così caotici, confusi e squilibrati che è impossibile non apprezzarli. Può essere il fattore “so bad it’s good” o può essere che ci sia qualcosa dentro, un tocco di genio, una scintilla di creatività che è evidente ma troppo sfuggente per metterci la mano sul fuoco. Può anche essere che si sappia che il team creativo dietro il film ha un grande talento e che magari abbiano visto nel progetto qualcosa che valeva la pena di realizzare, per cui la fiducia che si ripone in loro supera qualsiasi confusione che si prova mentre si guarda il film. Qualunque sia il motivo, un esempio brillante è il film “Lifeforce” (Space Vampires) di Tobe Hooper del 1985.

“Lifeforce” inizia con il colonnello Tom Carlsen che guida una spedizione sulla navetta spaziale Churchill mentre lui e il suo equipaggio si avvicinano alla cometa di Halley. Scoprono, successivamente, quella che sembra un’astronave aliena. Decidono di perlustrare la misteriosa nave e al suo interno trovano i resti di gigantesche creature simili a pipistrelli e quelli che sembrano essere tre esseri umani, una donna e due uomini. Gli esseri umani sono tenuti all’interno di quelle che sembrano teche di vetro e vengono trasportati sulla navetta.

Basato sul romanzo The Space Vampires di Colin Wilson, “Lifeforce” è stato scritto per lo schermo da Dan O’Bannon (famoso per Alien) e Don Jacoby ed è facile chiedersi cosa sia passato per la loro testa quando lo hanno scritto. È come se gli sceneggiatori (non ho letto il libro, quindi non so se siano stati gli autori o gli sceneggiatori) avessero avuto idee per quattro o cinque film diversi e, invece di scrivere quattro o cinque sceneggiature diverse, avessero deciso che sarebbe stato meglio buttare tutto in questa storia. Abbiamo spazio, vampiri, pipistrelli giganti, creature simili a zombie, panico per le strade di Londra, la cattedrale di St Paul che viene fatta saltare in aria e Patrick Stewart. È del tutto comprensibile che molte persone non lo abbiano apprezzato. È stato un film costoso, circa 25 milioni di dollari, ma ha incassato solo sugli 11 milioni al botteghino ed è stato ampiamente dimenticato dal pubblico e dai media di oggi.

Allora, “Lifeforce” è davvero “così brutto da essere bello”? No, non è proprio così. Non si tratta certo di un film come Plan 9 From Outer Space, un film talmente inetto da risultare divertente. È stato realizzato da persone di grande talento, non solo il regista e lo sceneggiatore, ma l’intera produzione. Le musiche sono state composte dal grande Henry Mancini, mentre gli effetti speciali sono stati supervisionati da John Dykstra, che ha fatto un lavoro meraviglioso nell’era pre-CGI.

La cosa più impressionante di “Lifeforce” è come sia riuscito a procurarsi abbastanza denaro non solo per portare sullo schermo tutte queste sciocchezze, ma anche per finanziare le ovvie droghe che hanno portato alla creazione di questo film. Non è un classico, neanche lontanamente, ma quando si parla di film di culto genuinamente bizzarri che esistono in barba a qualsiasi forma di buon senso, l’opera maniacale di Tobe Hooper è difficile da dimenticare.

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Zombie contro Zombie (2017)

Articolo a cura di Dani Ironfist

ZOMBIE contro ZOMBIE (2017)

Un film intriso di una folle energia, il secondo lungometraggio del giovane regista e sceneggiatore giapponese Shinichiro Ueda è una horror comedy a tema zombie di quelle che lasciano il segno per sua incredibile genialità. Questo è “Zombie contro Zombie” (One Cut of the Dead).

Con un budget di soli 25.000 dollari, il film ha debuttato in Giappone in pochissime sale, per poi diventare un vero fenomeno mondiale, incassando più di 30 milioni di dollari dal 2017 in poi in seguito al rilascio sul servizio di streaming a tema horror “Shudder”.

Ci troviamo sul set di un film horror a tema zombie in cui il regista Higurashi (interpretato da Takayuki Hamatsu) rimprovera l’attrice protagonista per la sua mancanza di espressività. Poco dopo in un momento di pausa delle riprese, mentre i tre attori discutono su come difendersi in caso di una vera invasione di morti viventi, vengono improvvisamente attaccati da una serie di veri zombie. Nel tentativo di difendersi e cercare una via di fuga tra mille peripezie il regista Higurashi continua indomito nelle sue riprese.

La genialità sta nel fatto che tutta la prima parte è girata in un unico piano sequenza, 37 minuti di pura follia, nella seconda parte veniamo invece catapultati qualche mese prima durante la preproduzione del film dove tutto ha inizio. Scopriamo così che questo non era altro che un progetto per lanciare un nuovo canale tv sugli zombie. Viene infatti proposto al regista di dirigere uno spettacolo, trasmesso in diretta e girato con un unico piano-sequenza, dal titolo “One Cut of the Dead” in cui sono protagonisti zombi muniti di ascia. Un’idea folle, ma che il regista accetta.

“Zombie vs Zombie” cattura tutte le difficoltà e la follia del cinema di genere a basso budget e questo nonostante il regista del film, Shinichiro Ueda, abbia più risorse a sua disposizione rispetto alla sua controfigura immaginaria. E non si può davvero che elogiare la semplicità di tutto questo, sia in quella sorprendente ripresa in piano sequenza sia nella parte che arriva dopo. Il film è talmente geniale in tutta la sua messa in scena che, una volta finito, vorrai guardarlo di nuovo per vedere se ti sei perso qualcosa. Merito anche di un ritmo frenetico che non smette mai di stupire.

“Zombie vs Zombie” non è solo un colpo di genio. Fondamentalmente è un film sull’ambizione, l’opportunità, la creatività e la difficoltà di passare dalle idee alla loro realizzazione concreta. Questo processo include spesso incidenti di percorso difficilmente pianificabili. È un film nel film ma anche un film su sé stesso, che sfrutta al massimo un parco giochi abilmente assemblato, ma allo stesso tempo è un tributo e un atto d’amore all’inventiva e al cinema che alla fine mi ha lasciato con un’enorme ondata di gioia e divertimento durante la visione.

Sebbene sia il genere zombie che il cinema giapponese in generale abbiano sfornato pellicole migliori, “Zombie vs Zombie” è una grande scarica di adrenalina. Coloro che si aspettano la saga dello splatter massacrante come il maestro George A. Romero insegnava probabilmente rimarranno delusi da ciò che la produzione di Shinichiro Ueda ha veramente da offrire, tuttavia, per chiunque si consideri un fan del cinema, c’è molto con cui divertirsi, perché qui siamo di fronte alla miglior horror/comedy dai tempi de “L’alba dei morti dementi” di Edgar Wright.

Lo scorso anno è stato realizzato un remake diretto dal regista francese premio oscar Michel Hazanavicius, che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo con il suo “The Artist”.

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Dark Was the Night – Caccia al mostro (2014)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

CACCIA AL MOSTRO (2014)

Avete presente quei film che vedete una volta, ve ne dimenticate e poi un giorno vi capitano di nuovo davanti?

 Magari una sera in cui siete annoiati e non sapete esattamente cosa scegliere. E così, a caso, scegliere lui. Tanto non l’ho mai visto. E invece, man mano che i minuti passano lo conosci, e sai già cosa aspettarti.

 Però vai avanti.

“Caccia al mostro”, titolo originale “Dark Was the Night”, è un monster movie a tinte drama del 2014, diretto da Jack Heller, già regista del bel “Enter Nowhere” del 2011.

 Ed è un film che avevo già visto tempo fa, ma praticamente ne avevo rimosso il ricordo.

Questo film tratta principalmente la tematica del dramma legato alla perdita al rimorso e senso di colpa.

 Il protagonista, uno sceriffo di una piccola cittadina Americana, è tormentato dal rimorso per non aver salvato il figlio, morto in un incidente domestico mentre era sotto la sua supervisione.

 Aggiungiamo un vice, appena arrivato dalla città, che ha deciso di ritirarsi a vita più tranquilla in una zona rurale, per via di un azione andata male, dove il suo collega è rimasto ucciso.

 Ad appesantire il tutto aggiungiamo un’atmosfera cupa e perennemente triste, e ovviamente, l’inizio di strani accadimenti, animali morti, spariti e strane impronte per strada.

 Il colpevole già lo scopriamo, o possiamo intuirlo già da prologo, che si svolge a qualche miglio di distanza in una foresta. Una squadra di taglia legna sta disboscando ma qualcosa li uccide.

 Il mostro si è spostato e adesso minaccia la piccola comunità.

“Caccia al mostro” è un film mal equilibrato. La componente drammatica sovrasta troppo quella orrifica, e la soffoca, quasi cancellandola. Il protagonista, interpretato da Kevin Durand è un uomo distrutto dal dolore, dal senso di colpa e ha perso ogni sicurezza in sé stesso e nella capacità di svolgere il suo ruolo di guida nella piccola comunità. Purtroppo, se mi permettete, troppo piagnucoloso nonostante ci possa stare data la situazione. Il vice, interpretato da Lukas Haas, che era il piccolo Frank Scarlatti nella fiaba horror anni 80 “Scarlatti – Lady in white”, ha il suo peso da portare, ma fortunatamente è meno sentito, anche se, alla fine dei conti, non è la vera svolta della pellicola, come invece sembrava voler far intendere in una scena a metà del film.

 Il risultato è un lungo prologo, quasi noioso, che non ha quasi nulla di orrifico, e che ci porta ad un finale sbrigativo, e davvero poco efficace e che lascia lo spettatore un po’ nel dubbio. Per fortuna la cgi, dovuta per la creazione del mostro è minima e, pur essendo poco sfavillante, la bassa qualità si nota appena.

 Nonostante questo il film si lascia guardare in un certo senso, ha sicuramente la sufficienza per l’elemento drammatico, ma non la raggiunge per quello horror.

In definitiva può piacere molto oppure essere una completa delusione, a voi la scelta.

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