L’occhio che uccide (1960)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

L’OCCHIO CHE UCCIDE (1960)

Oggi mi misurerò con uno dei pilastri del cinema horror, uno di quei film che ha contribuito a forgiare il sottogenere Slasher, e che ne anticipa gli stilemi con molta professionalità.

 Non è un film grezzo, ma bensì un thriller drammatico che mostra la psicologia del killer, e ce lo fa diventare quasi simpatico, o comunque ci fa empatizzare col suo stato, causato da traumi infantili forti, colpa di un genitore scellerato.

 Sto parlando di “Peeping Tom”,  ovvero “L’occhio che uccide”,  film diretto nel 1960 da Michael Powell.

Mark è un bel ragazzo gentile ed educato, che lavora in uno studio cinematografico. Nel tempo libero però realizza anche foto osé per un edicolante che poi le rivende.

 Mark ha però un terribile segreto : riprendere la paura, soprattutto in belle ragazze che poi uccide usando una lama che è nascosta nel cavalletto della sua macchina da presa. Le riprende nei pochi istanti prima di ucciderle, terrorizzate ed inermi.

 Mark poi rivede i filmati e ne prova piacere.

 Un giorno conosce la giovane Helen, in un certo senso se ne innamora, e le cose si complicano non poco. Per lui diventa difficile gestire il rapporto con la ragazza, perché di solito lui le donne le uccide.

Michael Powell riesce a mettere in scena un dramma dalle tinte forti, in un modo davvero ottimo. “L’occhio che uccide” è un film che viene poco nominato, ma che ha dato davvero molto al genere horror, ed è di una qualità davvero sorprendente.

 Se contiamo anche che, negli anni 60, non era così semplice mostrare certi temi, lo è ancora di più.

 Non è grezzo, né gore, ma è malsano quanto basta per farci inorridire vedendo i volti terrorizzati delle povere vittime, ma anche provare simpatia per Mark e anche, tifare per lui e Helen.

 Un killer decisamente atipico, ma trattandosi di un “proto-Slasher” è assolutamente normale. Un killer che uccide per necessità, perché non conosce altro sollievo se non il riprendere la paura prima della morte.

 E di fatti Mark si trova davvero in difficoltà quando incontra Helen, e lei dimostra interesse per lui.

 Lui sembra provare lo stesso, ma fatica ad abbandonare la sua macchina da presa, che è l’unica sicurezza della sua vita. Ne è prigioniero in un certo senso. Perché è un elemento della sua vita che lo accompagna da sempre.

 Helen invece è così presa che vorrebbe aiutare Mark fino all’estremo, e, anche quando ne scopre la vera indole, non mostra paura, ma coraggio.

 Una storia così non può avere lieto fine, e lo sappiamo bene. Ma per rispetto di chi può non conosce il film non rivelerò altro.

I colori della fotografia, tipici degli anni 60, in contrasto con le ombre danno un effetto in stile giallo thriller perfetto e contribuiscono a formare l’atmosfera giusta.

 Karlheinz Bohm, che è forse più noto per essere stato il principe Franz nella saga sulla principessa Sissi, è il perfetto ragazzo che all’apparenza non potrebbe mai essere scambiato per un pazzo criminale, ed è stata probabilmente una delle scelte vincenti.

Non può mancare se volete approfondire il genere.

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