Il mondo dietro di te (2023)

Articolo a cura di Dani Ironfist & Frina

IL MONDO DIETRO DI TE (2023)

“Il mondo dietro di te” è un film del 2023 del regista statunitense Sam Esmail, conosciuto per i film “Comet” (2014) e, soprattutto, per essere il creatore della serie tv “Mr. Robot” (2015) e prodotto da Netflix.

Il film comprende un cast d’eccezione: Julia Roberts, Ethan Hawke, Mahershala Ali e Kevin Bacon che andrà ad aggiungere al film un valore aggiunto, soprattutto per la splendida prova di Julia Roberts. Prodotto da Barack e Michelle Obama, “Il mondo dietro di te” è il film apocalittico perfetto per il periodo nel quale stiamo vivendo. Ma andiamo con ordine perché qui le cose da dire e su cui riflettere sono molte.

Basato sull’omonimo romanzo di Rumaan Alam del 2020, “Leave the World Behind” vede Amanda Sanford (Julia Roberts), una pubblicitaria stressata dal lavoro e ormai insofferente alla gente, affitta online un appartamento per trascorre una breve vacanza con la sua famiglia composta dal marito Clay (Ethan Hawke) e i due figli Rose (Farrah Mackenzie) e Archie (Charlie Evans).

Appena arrivati però notano che non funzionano la rete wi-fi e la televisione. Durante la notte bussa alla porta G. H. Scott (Mahershala Ali) con la figlia Ruth (
Myha’la Herrold). Scott afferma di essere il proprietario della casa e chiede di potersi fermare per la notte insieme alla figlia poiché si trovano in difficoltà a causa di uno strano blackout che si sta verificando in città. Nonostante Amanda sia molto diffidente Clay decide di fidarsi e permette loro di restare per la notte. Con il passare dei giorni iniziano a verificarsi dei fenomeni strani e incomprensibili anche perché, senza collegamento internet e segnale televisivo, non è possibile reperire informazioni e capire cosa sta accadendo in città e nel resto del mondo.

Questo forzato isolamento dal mondo esterno porta i protagonisti a interagire soltanto tra di loro o quasi ma permette, seppur in un piccolo microcosmo, di analizzare in modo interessante alcuni aspetti problematici del mondo moderno in particolare i rapporti umani e la dipendenza dalla tecnologia.

Nonostante questo film non contenga tutte le risposte, aiuta a porsi le domande giuste e ad arrivare alle proprie conclusioni e valutazioni.

Un valore aggiunto è che, nonostante possa esser considerato un film post-apocalittico”, il film è visivamente molto bello soprattutto per quanto riguarda le ambientazioni all’interno della casa. Potrebbe anche essere scelta voluta per collocare anche visivamente i protagonisti in un certo status sociale medio/alto e rappresentare l’americano medio che ha accesso alle tecnologie all’avanguardia che, da una parte, gli hanno migliorato la vita ma, dall’altra, lo hanno portato a dipendere troppo da essa. Non a caso appena entrano nella casa di villeggiatura la prima cosa a cui pensano e la connessione wifi.

Il film di Sam Esmail con le sue allusioni ad Alfred Hitchcock e i movimenti di macchina di scuola M. Night Shyamalan disorientano lo spettatore e gli provocano un imperdibile senso di terrore. Sam Esmail riempie il film di simbolismi e spunti di riflessione creando una storia intricata e realistica di sopravvivenza, mostrando come la costante divisione negli Usa renderà facile il crollo della nazione quando una minaccia estrema alzerà la testa.

Durante il film vengono diffuse tonnellate di disinformazione, che creano molta confusione nella società. Sembra una nuova versione della circolazione delle fake news che ha recentemente colpito il mondo durante la pandemia, cosa che è stata possibile solo grazie ai recenti progressi tecnologici.

Il film mostra molte sequenze da incubo ma che non sono piene di sangue o di tutto quello che lo spettatore potrebbe aspettarsi di vedere in un tipico film sulla “fine del mondo”. Invece, l’orrore che vediamo in questo film è l’attacco alle cose che usiamo nella nostra vita quotidiana. Una scena raffigura le Tesla che a causa dei blackout impazziscono e si autodistruggono, mentre un’altra vede i personaggi attaccati da un suono misterioso. L’attacco sonoro ricorda tra l’altro la sindrome dell’Avana, avvenuta a Cuba solo pochi anni fa. Questo evento è persino menzionato nel film, dimostrando come durante tutto il film il tentativo del regista di donare una sensazione di vita reale, il che rende il tutto ancora più terrificante.

Il finale che in tanti hanno detestato a me1 è piaciuto tantissimo ed è aperto a molte interpretazioni e se conosci Sam Esmail e “Mr. Robot” sai che puoi aspettarti un finale così inaspettato e aperto a qualsiasi interpretazione. Non per qualche elemento particolare del finale, ma piuttosto perché non è definitivo. Anche in film con finali definitivi sono solo una parte della storia e tutto potrebbe cambiare nella scena successiva che non vedremo.

Chissà, magari potremmo avere un seguito o uno spin-off, tutto è possibile, poiché potremmo vivere gli eventi da un altro luogo come, ad esempio succede nei capitoli di “A Quiet Place”.

“Il mondo dietro di te” per quanto mi riguarda è uno dei migliori film del 2023 e uno dei migliori film mai prodotti da Netflix che richiede attenzione e senso logico di interpretazione per essere capito a pieno.

1 Dani Ironfist

Analisi con spoiler a cura di Frina

Molto spazio viene dato all’analisi dei rapporti interpersonali e di fiducia delle persone.

Amanda, infatti, a causa del suo lavoro, sente sia il bisogno di allontanarsi dalla città per staccare, almeno per qualche giorno, da una sorta di socializzazione forzata la quale la sua professione la costringe e che la rende insofferente nei confronti delle persone. È anche molto diffidente nei confronti del prossimo. Dubita, infatti, anche della vera identità di G. H. Scott. Questo è comprensibile perché non ha mai interagito direttamente con il proprietario durante la fase di prenotazione. Questa è una situazione che ci è molto familiare, quante cose facciamo tramite siti internet o applicazioni con interazioni minime con altri essere umani e senza sapere fino in fondo con chi stiamo interagendo? Si può fare di tutto, dall’ordinare una cena a domicilio all’affittare un appartamento per una breve vacanza. Non serve nemmeno fare i nomi delle applicazioni poiché le consociamo benissimo tutti.

Come già accennato, un altro tema fondamentale, è la dipendenza dalla tecnologia, in particolare dallo smartphone e da internet. Non c’è dubbio che nel mondo odierno non è possibile farne a meno e ha portato indubbi vantaggi e senza connessione saremmo persi e tagliati fuori dal mondo proprio come i nostri protagonisti che non riescono a interpretare le cose insolite che stanno capitando. Però il delegare tutto alla tecnologia ci ha disabituato a cavarcela con i nostri mezzi. Clay, ad esempio, quando esce in macchina per andare in città a cercare informazioni si trova in difficoltà ad orientarsi per la mancanza del GPS.

Emerge inoltre l’importanza dell’informazione e quanto potere possa derivare dal manipolarla o interromperla.  G. H. confessa a Clay che, grazie ad un suo amico molto influente politicamente, potrebbe avere un’idea di quello che sta succedendo e cioè che alcuni non ben precisati (o perlomeno i candidati potrebbero essere molti) paesi nemici dell’America, tramite, da una parte, l’interruzione delle informazioni, dall’altra tramite la disinformazione stanno cercando di attuare un colpo di stato senza troppo sforzo sfruttando il caos che è stato generato nel paese.

Una critica che potrebbe essere fatta a questo film è che, nel finale, molte cose vengono lasciate in sospeso e spiegate solo in parte. Secondo me questo non è un difetto e alla fine non è realmente importante sapere di preciso chi ha fatto piombare la città e in generale gli Stati Uniti nel caos apocalittico. Resta certamente il fatto che gli USA si sono fatti moltissimi nemici e alla fine non importa chi ha deciso di attaccarli, se uno o l’altro o tutti ma il fatto stesso che ci sano tanti possibili candidati (ad esempio sono stati trovati in diverse zone volantini scritti in diverse lingue).Viene evidenziata anche la fragilità del mondo occidentale, moderno e ipertecnologico ma così dipendente dalla tecnologia da essere facilmente vulnerabile a un attacco che utilizza il malfunzionamento della tecnologia e la mancanza di informazioni per mandare il paese nel caos di una guerra civile.

Molto significativo è anche il finale nel quale Rose, la figlia più piccola di Amanda e Clay, si introduce nel bunker della casa dei vicini e tramite una videocassetta riesce finalmente a vedere l’ultima puntata della serie “Friends”. La ragazzina è infatti ossessionata da questa serie e a causa del blackout non era riuscita a vedere l’ultima puntata. Sembra assurdo che la sua preoccupazione sia vedere una serie tv quando il mondo è nel caos? Penso che a volte nella vita, anche se ci illudiamo di avere il pieno controllo, molte cose che ci capitano sono indipendenti dalla nostra volontà. E l’unica cosa che ci rimane e che ci permette di andare avanti e affrontare la realtà sono le piccole cose, le nostre piccole passioni che spesso sono importanti solo per noi e difficili da capire per gli altri.

Alla fine, si può dire che vengono fatte molte domande ma non vengono date tutte le risposte e ciascuno può dare la sua libera interpretazione e trovare lungo il film diversi spunti di riflessione personali.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

Attenberg (2010)

Articolo a cura di Dani Ironfist

ATTENBERG (2010)

Negli ultimi anni si fa un gran parlare del cinema greco, alcuni registi come Yorgos Lanthimos sono usciti alla ribalta grazie a film di grande qualità e con la capacità di raccontare la situazione socio/politica del loro paese con storie che in alcuni casi sgomentano e lasciano lo spettatore attonito, alcuni titoli come “Dogtooth” e “Miss Violence” sono lì a dimostrare questo.

E proprio “Attenberg” diretto dalla regista Athina Rachel Tsangari si unisce ai due film sopracitati in una sorta di trilogia bizzarra ma allo stesso tempo accattivante che riesce ad esplorare molti aspetti della condizione umana in modi molto interessanti.

“Attenberg” trae spunto proprio da “Dogtooth”, sia per lo stile che per le peculiarità nel raccontare la storia dei giovani protagonisti. Il parallelismo tra questi film è inequivocabile, ma non è assolutamente una cosa negativa.

“Attenberg” racconta la storia di formazione di Marina (Ariane Labed), una ragazza ventitreenne, il cui padre sta morendo di cancro, e che allo stesso tempo sta diventando lei stessa sessualmente curiosa. Mentre l’inevitabile morte del padre si avvicina, impara a conoscere il sesso opposto attraverso la sua migliore amica, Bella, e i documentari sulla natura di Sir David Attenborough che la porteranno a fare i conti con la vita e la morte. Emblematica da subito la sequenza iniziale in cui Bella (Evangelia Randou), la migliore amica di Marina, le insegna come baciare alla francese con Marina che si ritrae schifata dalla bava di Bella. Durante un viaggio triste all’ospedale con il padre morente, Marina inizia una relazione incerta ma tenera con un ingegnere in visita (Yorgos Lanthimos) che condivide con Marina il suo amore per la band elettropunk degli anni ’80 Suicide e la aiuta nelle sue scoperte.

Come nel film “Dogtooth” di Lanthimos, questa storia esplora un personaggio cresciuto al di fuori del mondo reale, ed è affascinante vederla alla sua età iniziare ad aprirsi alle possibilità del mondo che la circonda facendo, per la prima volta, l’esperienza di una relazione romantica.

Nonostante non venga raccontata come Marina abbia incontrato Bella, il modo in cui si sviluppa la loro relazione giocosa è coinvolgente e, in particolare, il tipo di rapporto tra le ragazze viene mostrato molto bene durante le loro brevi, ma molto particolari, passeggiate.

Considerando che questo film è scritto e diretto da Athina Rachel Tsangari, produttrice associata di “Dogtooth”, e che il regista Yorgos Lanthimos, interpreta l’ingegnere, non sorprende che “Attenberg” condivida lo stesso tipo di atmosfera. Pur non essendo divertente e assurdo come il film di Lanthimos, “Attenberg” dimostra comunque che un grande stile cinematografico, scene strane e dialoghi assurdi possono dar vita a una trama interessante.

Un film tutto da scoprire, così come tutta questa new wave greca che negli ultimi anni con i suoi autori è salita alla ribalta con un tipo di cinema socio/politico che mancava da molto tempo.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

Margini (2022)

Articolo a cura di Dani Ironfist

MARGINI (2022)

“Margini” è un film del 2022 diretto da Niccolò Falsetti (al suo debutto alla regia) e Francesco Turbanti con la sceneggiatura scritta insieme dallo stesso Turbanti e Tommaso Renzoni.

Prodotto dai Manetti Bros è stato presentato in concorso alla Settimana internazionale della critica della 79ª Mostra del cinema di Venezia, dove si è aggiudicato il premio del pubblico “Margini” ha ricevuto anche due candidature ai David Di Donatello 2023 per miglior regista esordiente a Niccolò Falsetti e migliore canzone originale a La palude di Niccolò Falsetti, Giacomo Pieri, Alessio Ricciotti e Francesco Turbanti.

Il film racconta la storia di tre inossidabili amici che vivono a Grosseto e i quali hanno un band punk che si chiama “Wait for Nothing” girando per la provincia suonando tra sagre di paese e feste dell’Unità.

Lo skinhead disoccupato Michele (Francesco Turbanti), sposato con Margherita (Silvia D’amico), cassiera al supermercato, ha una figlia piccola, Alice, con la quale ama condividere la sua passione per la musica; Edoardo lavora controvoglia per il locale disco “Sala Eden” gestito dal compagno della madre, mentre Iacopo, è di una ricca famiglia borghese, studia violoncello e sta aspettando la chiamata per suonare nel tour francese di Daniel Barenboim.

Un giorno vengono notati e saranno chiamati come special guest di supporto ai “The Defense” a Bologna, una famosa band hadrcore americana. Pochi giorni prima però il concerto viene annullato ma i ragazzi non si danno per persi e se loro non possono suonare a Bologna saranno i “The Defense” a suonare a Grosseto. I tre ragazzi cercheranno in tutti i modi di organizzare il concerto ma non sarà facile come pensano e dovranno scontrarsi contro la borghesia e l’ignoranza che pervade in città.

Si parte subito a bomba con i titoli di testa accompagnati da “Brucia di vita”, storico pezzo dei Negazione e già da qui capiamo che siamo al cospetto di un film che si differenzia molto dalle recenti produzioni legate alla musica rock nel cinema.

Questo perché Niccolò Falsetti non dà molto spazio alla musica suonata ma mette in risalto i rapporti dei ragazzi e i numerosi scontri con l’ipocrisia e il bigottismo dilagante della città.

I Wait For Nothing vengono infatti ripresi solo in un paio di occasioni, durante le prove e durante una esibizione ad una festa della città. In entrambe le occasioni verranno interrotti per il troppo “rumore”, in particolare in modo molto goffo dal presentatore della festa cittadina che dona alla band delle cartelle per la tombolata maremmana.

Da qui in poi non ci sarà più occasione di vederli suonare sul palco.

Ma quello che aleggia per tutto il film è la sensazione che ci sia un aspetto molto marcato di autobiografia in tutto questo. Questa sensazione la si nota soprattutto nel fatto che è molto facile immedesimarsi nei protagonisti se siamo dei veri appassionati di un certo tipo di musica. Difatti il regista Niccolò Falsetti è anche membro dei PEGS, band hardcore/punk di Grosseto attiva dal 2005 che è riuscita a portare a Grosseto i Madball, storica band hardcore di New York.

A tal proposito nella prima scena vedremo i Wait For Nothing suonare “La Palude”, un pezzo degli stessi PEGS.

“Margini” però, non è solo la trasposizione di un vissuto personale il suo valore risiede nella maniera onesta con cui riesce a descrivere il malessere in cui ogni giovane anticonformista si è trovato a combattere nella propria vita.

“Siamo a due ore da tutto” si lamentano spesso durante il film i giovani protagonisti, due ore da tutto quello che desiderano e bramano di diventare arrivando perfino ad entrare in collisione anche con loro stessi.

I tre ragazzi hanno una grande passione per la musica ma peccano un po’ di ingenuità cercando di fare qualcosa senza averne i mezzi specialmente in un contesto culturale che da loro scarso supporto perché non in grado di capire la sottocultura hardcore/punk. In tutto questo però spiccano due volti femminili che avranno un ruolo fondamentale, Valentina Carnelutti interpreta la madre di Edoardo e Silvia D’amico che interpreta la compagna di Michele, due donne che nonostante la differenza di età saranno sempre al loro fianco nonostante tutte le difficoltà e l’ostilità di un mondo ingrato verso i ragazzi.

Ci si diverte, si ride grazie anche alla bravura di questi giovani attori perché “Margini” è una comedy che intrattiene dall’inizio alla fine con ottimi dialoghi e delle battute eccellenti. Allo stesso tempo fa riflettere sulla situazione degli ambienti musicali alternativi.

Meraviglioso il finale con i nostri protagonisti che si ritrovano a cantare a squarciagola in auto “Se bruciasse la città”.

In conclusione “Margini” è un’opera che può riportare in auge un filone cinematografico che era andato ormai disperso grazie alla sua spontaneità e una grande passione per la musica e il cinema che si nota in ogni fotogramma del film.

Una produzione indipendente assolutamente da vedere e sostenere!

Il film è acquistabile sul sito di CG Entertainment in Dvd e Blu-ray


In questo sito tutto quello che riguarda il cinema e le serie tv è scritto e raccontato con professionalità e tanta passione. Se ti piace il nostro modo di fare clicca sul banner e unisciti agli amici di Beyond the Horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

I disertori – A Field in England (2013)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

I DISERTORI -A FIELD IN ENGLAND (2013)

Ben Wheatley è un regista britannico, di quelli che mi piacciono particolarmente per carattere e capacità di tirare fuori cose molto interessanti con pochi mezzi.

Il black humor britannico è poi una delle cose che adoro quindi stiamo a posto. Ben Wheatley non fa solo black comedy. Anzi, sa essere pesante e scioccante quando vuole. Non è proprio questo il caso, ma vi assicuro che sa esserlo.

Oggi vi parlo del suo più controverso e criptico film, una pellicola in costume girata in un elegantissimo bianco e nero, con una fotografia spettacolare, dai risvolti eclettici ma soprattutto psichedelici.

Siamo circa nel 1600 e, durante la guerra civile britannica e 5 personaggi particolari si ritrovano in una serie di situazioni tra il grottesco e l’orrido. Intanto il tutto inizia durante una battaglia molto cruenta. Due soldati e, quello che scopriremo essere l’assistente di un alchimista, si incontrano per caso. Loro fuggono dalla battaglia, lui da un uomo che lo cerca non sicuramente per motivi amichevoli.

I tre iniziano a viaggiare insieme ma vengono catturati da un altro uomo che poi si rivela il tirapiedi di un altro alchimista. Da quel momento inizia un turbine psichedelico di follia.

Un film non di facile comprensione, molto va ricercato, soprattutto alcuni elementi legati alla magia e all’esoterismo. Ben Wheatley poi sceglie, come in altri casi, di non spiegarci tutto, ma di lasciare allo spettatore la libertà di crearsi una sua idea su ciò che vede.

La scelta degli attori è azzeccatissima, Ben Wheatley si avvale di vecchie conoscenze e di caratteristi del cinema britannico che sanno assolutamente il fatto loro.

A partire dal mite Whitehead, interpretato dal comico Reece Shearsmith, famoso per essere uno dei League of gentlemen, fino alla vera e propria “musa” del regista di Brighton, Michael Smiley, con Ben Wheatley già dal suo primo film.

Il mio consiglio è di seguire attentamente tutta la storia è in seguito levarsi i dubbi, se ne avete, e se volete, cercando ciò che sembra troppo criptico. È comunque un viaggio da fare soprattutto godendo della splendida fotografia e delle scene create con cura.

Sicuramente un’ottima sfida per chi ama vedere pellicole non convenzionali.


Beyond the horror è un blog per chi ama il cinema con grande rispetto verso i nostri followers e sostenitori, seguiamo spesso festival, cineforum, rassegne e molto altro con lo scopo di divulgare la cultura e i valori della settima arte. Se ti piace il nostro lavoro unisciti agli amici di Beyond the horror.

A girl walks home alone at night (2014)

Articolo a cura di Martin Quatermass

A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT (2014)

Il genere è una cosa strana. Prendiamo il film sui vampiri. Esiste fin dai tempi del cinema muto. È stato usato come canale per l’horror, l’azione, il romance e la commedia. È stato usato per il trash. È stato usato per l’arte. E, sì, ultimamente mostra segni di usura.

Ma i non-morti risorgono sempre, ed ecco “A Girl Walks Home Alone at Night”, il film sui vampiri più interessante e originale che sia mai stato realizzato da… beh, da molto tempo a questa parte.

Il tutto viene dalla regista e scrittrice Ana Lily Amirpour, irano-americana, originaria dell’Inghilterra, e i dialoghi del film sono in farsi (lingua persiana), ma le riprese sono state effettuate a Los Angeles e il cast è composto per la maggior parte da attori irano-americani. Questo “trovarsi in mezzo”, con un piede in Iran e uno in America, contribuisce alla qualità del film, che non è realmente ambientato in nessuno dei due luoghi.

È ambientato in un mondo onirico chiamato Bad City, dove i burroni intorno alla città sono pieni di cadaveri polverosi e il crimine sembra essere la principale forma di commercio. Incontriamo Arash (Arash Marandi). È giovane e bello, con una bella macchina e un padre drogato. È un piccolo criminale – ruba un paio di orecchini da una casa in cui sta facendo lavori di giardinaggio – ma sembra il ragazzo più gentile di Bad City.

Poi incontriamo la ragazza (Sheila Vand). Vestita di nero (come se fosse “religiosa o qualcosa del genere”, come dice un personaggio), si fa vedere solo di notte, una presenza silenziosa. Sotto il mantello indossa jeans e una maglia a righe. È una presenza inquietante e allo stesso tempo normale, e di conseguenza è ancora più inquietante. Seduce un pappone e spacciatore Saeed (Dominic Rains) facendogli credere che sta seducendo lei. Lui la porta a casa sua, accende un po’ di musica, sniffa un po’ di cocaina, cerca di palparla e le infila un dito in bocca per farle intendere, neanche tanto velatamente, che vuole del sesso orale. La ragazza, non tanto velatamente, gli fa capire che ha commesso il peggiore – e, di fatto, l’ultimo – errore della sua vita.

Cosa succederà quando Arash incontrerà la “Ragazza” (il nome non viene mai svelato)? Farà la fine di Saeed? O queste due figure isolate troveranno un modo per salvarsi a vicenda?

Se tutti i mostri cinematografici attingono al nostro fascino per la morte, solo i vampiri sembrano essere innatamente romantici al riguardo. Mentre i lupi mannari esprimono una selvatichezza primordiale repressa, il desiderio di squarciare il mondo come un animale; e gli zombie affrontano il nostro fascino per la decadenza, il desiderio contorto di vedere il corpo umano marcire; i vampiri rappresentano una forma più intima di orrore. A differenza della maggior parte dei mostri cinematografici, essi seducono più che sopraffare. Seguendo questa tradizione, “A Girl Walks Home Alone At Night” lancia un incantesimo che è allo stesso tempo sexy e inquietante.

Girato in location accuratamente realizzate in uno splendido bianco e nero dal direttore della fotografia Lyle Vincent, il film ha una qualità essenziale, come una Sin City del mondo reale. Ana Lily Amirpour trae influenze da fonti disparate, persino incongrue, però, sembra l’opera di un artista unico: prende la sua selezione di tropi narrativi – dal mondo del cinema, della musica e delle graphic novel – e li combina in qualcosa che non abbiamo mai visto prima.

“A Girl Walks Home Alone At Night” è un film personale che si rivolge a una solitudine universale e a un desiderio di connessione, ma è anche un film che si sente inevitabilmente politico. Il titolo stesso è una dichiarazione femminista, che inverte le consuete aspettative di genere di una giovane donna indifesa messa in pericolo da un mondo maschile crudele, capovolgendole in modo che la giovane donna diventi la fonte della minaccia.

Nello stesso modo in cui un film come “The Babadook” di Jennifer Kent utilizzava i tropi del film di mostri per esplorare alcune delle tensioni latenti, o addirittura socialmente represse, della maternità, “A Girl Walks Home Alone At Night” utilizza il genere vampiresco per criticare il modo in cui le donne sono costrette a muoversi negli spazi sociali a loro rischio e pericolo. Sì, è ambientato in Iran, ma come chiarisce Ana Lily Amirpour, Bad City è davvero universale: in parte città petrolifera iraniana, in parte sobborgo di Los Angeles. Potrebbe svolgersi ovunque.

Dopo tutto, sono pochi i luoghi in cui una ragazza che torna a casa da sola di notte può sentirsi completamente al sicuro. A meno che, ovviamente, non sia un vampiro.


Beyond the horror è un blog per chi ama il cinema con grande rispetto verso i nostri followers e sostenitori, seguiamo spesso festival, cineforum, rassegne e molto altro con lo scopo di divulgare la cultura e i valori della settima arte. Se ti piace il nostro lavoro unisciti agli amici di Beyond the horror.

Guillermo Del Toro’s Pinocchio (2022)

Articolo a cura di Dani Ironfist

GUILLERMO DEL TORO’S PINOCCHIO (2022)

Diciamo le cose come stanno, se ne sentiva davvero il bisogno di un altro “Pinocchio”? Dopo quella ciofeca di Roberto Benigni, l’ottimo film di Matteo Garrone e il pessimo film in live action di Robert Zemeckis direi proprio di no. Anche perché per quanto mi riguarda il nome “Pinocchio” mi riporta sempre alla mente quel meraviglioso sceneggiato televisivo diretto da Luigi Comencini e che vedeva la partecipazione di un cast stellare (Nino Manfredi, Gina Lollobrigida, Franco e Ciccio, Vittorio De Sica, Lionel Stander, Mario Adorf, Renzo Montagnani ecc..).

La mia curiosità per questo nuovo adattamento prodotto da Netflix e diretto da Guillermo Del Toro era molta, vuoi perché per quanto mi riguarda ritengo Del Toro uno dei migliori registi usciti alla ribalta negli ultimi 30 anni e conoscendo la sua immensa cultura cinematografica e storica appena saputo che avrebbe ambientato la favola di Collodi nell’epoca fascista durante la seconda guerra mondiale, come molti dei suoi film del resto, il mio hype è schizzato alle stelle.

Il romanzo di Carlo Collodi del 1883, a suo tempo, era servito da monito morale verso i contadini italiani, i quali, se non lavoravano sodo, potevano fare la fine del povero Pinocchio, trasformato in un asino come punizione per la sua impulsività. La cosa bella di questa favola, attraverso le sue numerose versioni proposte su piccolo e grande schermo, è che il burattino, trasformato in una sorta di antitesi del mostro di Frankenstein, prova che la capacità di creare la vita da ciò che è senza vita può essere una fonte di gioia.

Sappiamo (o spero) tutti chi è Guillermo Del Toro, regista che sta dietro a film come “Il labirinto del fauno”, “La forma dell’acqua” e “La fiera delle illusioni” uscito ad inizio 2022, che ha sempre avuto questa grande capacità di descrivere dal profondo le mostruosità di tutte le razze umane.

C’è da fare comunque una breve premessa perché non c’è solo Del Toro dietro a questo gioiello. Infatti, come co-regista troviamo Mark Gustafson, che ha lavorato come supervisore all’animazione nel film in stop-motion “Fantastic Mr Fox” di Wes Anderson. Mark e Guillermo hanno così abbracciato la poesia nell’artigianato e dato vita ad uno dei più bei film d’animazione in stop-motion degli ultimi anni.

La rivisitazione animata in stop-motion di questo racconto è un altro esempio della cura maniacale che il regista messicano mette in atto per dare vita alla sua visione in un nuovo lungometraggio dove ci presenta una ricca storia animata colma di umanità e con un cast impressionante. Hanno così prestato le loro voci ai personaggi attori come: Ewan McGregor, Ron Perlman, Finn Wolfhard, Cate Blanchett, David Bradley, Burn Gorman, Tilda Swinton, John Turturro, Christoph Waltz e il giovane Gregory Mann (voce di Pinocchio), ad unirsi a tutto questo la splendida colonna sonora di Alexandre Desplat.

Geppetto è un uomo anziano con un figlio che adora fino a quando una tragedia lo lascia solo e in preda al suo dolore con il cuore spezzato. Veglia giorno e notte sulla tomba del figlio invocandone il ritorno. Disperato crea un ragazzo in legno che, purtroppo, non assomiglia per niente al suo adorato figlio cadendo ancora di più in depressione e vittima dell’alcolismo. Un Wood Sprite ha pietà di lui e dà vita alla sua creatura iniziando così un’avventura familiare quando il ragazzo chiamato Pinocchio viene portato via da casa.

A livello tecnico il lavoro in stop-motion fatto in questo film è veramente sbalorditivo. Con un incredibile gruppo di animatori, il film prende forma e vita propria innescando nello spettatore un groviglio di emozioni. Anche perché questo piccolo blocco di legno dalle sembianze di un ragazzo sembra molto realistico. È la storia di un padre e di un figlio, e la rappresentazione emotiva del loro rapporto, a volte complicato, contribuisce a rendere questa opera uno dei film d’animazione più coinvolgenti dell’anno con i primi venti minuti che possono risultare strazianti per qualche spettatore sensibile. Questo è in primis un racconto commovente e profondo di una storia che esamina il dolore e la perdita con cura e comprensione

Come già abbiamo detto viene esplorato il rapporto padre-figlio, sia Pinocchio che il piccolo Lucignolo cercano in tutti modi di conquistare l’approvazione e l’affetto del padre e sono disposti a cambiare la propria indole per riuscirci.

Guillermo del Toro ha portato in me lacrime e gioia con una storia commovente che bilancia umorismo, cuore e musica. Un capolavoro a tutti gli effetti questo di Del Toro e Gustafson, il film porta magicamente qualcosa di nuovo in una favola familiare.

In quello che è finito per essere un grande anno per l’animazione in stop-motion, con “The House”, “Wendell & Wild” e “Mad God”, “Pinocchio” di Guillermo del Toro si distingue come il più bello di questi film per la cura dei dettagli, dalla barba di Geppetto agli splendidi paesaggi oceanici. È quasi difficile credere che” Pinocchio” sia stato scrupolosamente fatto a mano per creare un’animazione così impressionante.

Purtroppo, il film doppiato in italiano perde un po’ del suo fascino a causa di un doppiaggio non proprio eccelso, il mio consiglio per ammirarlo a pieno e di vederlo in lingua originale perché le prove di doppiaggio degli attori sopra citati sono incredibili e tra i quali spiccano quella del piccolo Gregory Mann (anche cantante) e quella di Cate Blanchett che doppia la scimmia spazzatura.

I definitiva questo “Pinocchio” è film affascinante, triste, cattivo in certi punti e che offre moltissimi spunti di riflessione.

L’unico rammarico è quello di non averlo potuto vedere in sala sul grande schermo, molto probabilmente le mie emozioni sarebbero state triplicate. Inoltre, il fatto che un regista come Guillermo Del Toro sia costretto a fare film per il piccolo schermo aumenta ancora di più la desolazione per la direzione che sta prendendo la settima arte.

Ad ogni modo lunga vita a Guillermone!!


In questo sito tutto quello che riguarda il cinema e le serie tv è scritto e raccontato con professionalità e tanta passione. Se ti piace il nostro modo di fare clicca sul banner e unisciti agli amici di Beyond the Horror.

Cattivo sangue (2021)

Articolo a cura di Dani Ironfist

CATTIVO SANGUE (2021)

“A me non piace parlare, ma ho bisogno di raccontare una storia, una storia di sangue, la più breve mai scritta.”

Con questo breve prologo ad inizio film, Sergio (Claudio Camilli) ci introduce in questo sorprendente esordio di Simone Hebara, un bellissimo noir con delle forti tinte crime.

Il film racconta le vicende di Sergio, detto “il muto”, un ex sicario della malavita che è riuscito a farsi una nuova vita a Malta dove gestisce un bar. Un giorno riceve una visita da Francesco e Roberta (interpretati da Francesco Braschi e Giulia Paoletti) che gli chiedono un’ultima commissione: eliminare i terribili fratelli Ventura, in particolare Edgardo (Matteo Quinzi), noto per le sue sevizie e crudeltà verso le sue vittime.

Sergio, in nome della lunga amicizia che lo lega a Francesco, accetta l’incarico ritrovandosi coinvolto in una nuova spirale di violenza e sangue con i fantasmi del suo passato che iniziano a tormentarlo.

La riuscita di questo film è molto probabilmente merito di un grande affiatamento sul set del film, e questa cosa si nota anche dal fatto che il regista riesce nell’impresa di rendere tutti gli attori perfetti, cosa assai ardua nei film a basso budget. Tutti gli attori recitano bene e sono tutti credibili anche perché sappiamo bene che, nel cinema indipendente, spesso la cosa più carente è la recitazione e, in questo caso, Simone Hebara da proprio l’idea di non aver sofferto le incertezze che un’opera prima può incutere in un filmmaker al suo esordio.

Gli attori sono tutti in parte e le interpretazione sono quasi tutte buone, tra di esse spicca senza dubbio il personaggio interpretato da Matteo Quinzi, uno spietato e sadico villain con un look che ricorda Michael Douglas nel film di Joel Schuamcher, “Un giorno di ordinaria follia” con una cattiveria talmente sadica e spietata che non vedevo dai tempi del “Gobbo” di Tomas Milian. Meravigliosa anche la prova attoriale di Claudio Camilli (Sergio ” Il muto”), con la sua voce narrante ci addentriamo perfettamente nel suo personaggio e non sono da meno gli altri attori tutti quanti diretti perfettamente da Simone Hebara.

Quello che colpisce maggiormente è la notevole messa in scena e questo è merito di una stesura narrativa che lascia inchiodati allo schermo durante il susseguirsi delle vicende che vedono coinvolti tutti i protagonisti a dimostrazione che con le idee originali si riesce ad aggirare le difficoltà legate al basso budget.

Si nota anche la passione per un certo tipo di cinema orientale, in particolare quello di Takeshi Kitano, basta pensare che durante il film c’è una scena dove una persona viene costretta a tagliarsi un dito come accade nella tradizione della Yakuza. Ma non è tutto, in questo film ci sono anche echi di Fernando Di Leo e Claudio Caligari.

In tutto questo Simone Hebara ha fatto un lavoro eccellente usando effetti analogici e lavorando con molti fuori campo durante le scene più violente, difatti in molte situazioni non vediamo quello che succede ma si percepisce quel senso di tensione che ci attanaglia per quasi tutto il film.

“Cattivo sangue” è una piacevole sorpresa e una grande boccata di aria fresca per tutto il cinema italiano, perché qui siamo di fronte a un noir che non si vedeva da tanto tempo in Italia con il regista Simone Hebara che da subito dimostra di saperci fare e di cui sentiremo sicuramente parlare in futuro. Rimane solo il rammarico di non averlo potuto vedere in sala a causa della mancata distribuzione nei cinema (ad eccezione della presentazione al Fi Pi Li Horror festival), e qui veramente non riesco a capire il motivo per cui le case di distribuzione italiane si lascino sfuggire film come “Cattivo sangue”.

Assolutamente un film da non perdere, soprattutto per chi ama il genere e per tutti coloro che dicono che in Italia non sappiamo più fare grande cinema, con “Cattivo sangue” avranno da ricredersi, un film che farebbe saltare di gioia Fernando Di Leo e Umberto Lenzi.

Il film è disponibile su Netflix.


Beyond the horror è un blog per chi ama il cinema. Con grande rispetto verso i nostri followers e sostenitori, seguiamo spesso festival, cineforum, rassegne e molto altro con lo scopo di divulgare la cultura e i valori della settima arte con l’intento di consigliarvi sempre nuovi film. Se ti piace il nostro lavoro unisciti agli amici di Beyond the Horror.

Cosmopolis (2012)

Articolo a cura di Dani Ironfist

COSMOPOLIS (2012)

È sempre facile parlare dei capolavori più noti nella filmografia di un regista ma in molti casi vale la pena parlare di pellicole meno riuscite o meno note come, ad esempio, “Cosmopolis” di David Cronenberg.

“Cosmopolis” è uno dei film più snobbati e sottovalutati del regista canadese e, non avendone mai capito il motivo, proverò a spiegarvi perché questa pellicola di Cronenberg è l’ennesimo tassello fondamentale nella sua filmografia.

Nel 2003 uno dei più grandi scrittori post-moderni Don DeLillo darà alle stampe il suo nuovo romanzo “Cosmopolis” con il quale sembrava già anticipare il futuro della crisi dei “Subprime” qualche anno prima che si verificasse.

Qualche anno dopo il produttore Paul Branco chiede a David Cronenberg di portare il romanzo sul grande schermo. Il regista non si tira indietro e, nel giro di pochi giorni, divora il romanzo e scrive la sceneggiatura molto fedele a libro di Don DeLillo apportando comunque un paio di variazioni che risulteranno fondamentali per lo sviluppo della trama.

Il film parte già a bomba sin dai titoli di testa creati dal visionario artista Justin Stephenson che schizza gradualmente su una tela una immagine che potrebbe essere definita come un paesaggio urbano futuristico e distopico.

“Cosmopolis” narra la stria di Eric Parker, interpretato da Robert Pattinson, un miliardario di 28 anni che decide di andare a tagliarsi capelli dal suo parrucchiere di fiducia che si trova a Manhattan.

A bordo della sua lussuosa limousine, parte per questo viaggio attraversando tutta la metropoli inconsapevole di tutto quello che gli accadrà durante il tragitto.

In questo adattamento del romanzo di DeLillo, caratterizzato da un cast corale costruito in parte su rapidi camei e una solida performance di Robert Pattinson che da qui si lascia alle spalle il personaggio di “Twilight” per qualcosa di più sostanzioso, il regista canadese affronta una profonda critica verso il capitalismo e l’avidità.

La capacità di David Cronenberg di portare in scene opere letterarie è da sempre qualcosa di notevole (molti dei suoi film sono tratti da libri e romanzi) e con “Cosmopolis” non fa eccezione trasportando il romanzo di Don DeLillo in maniera perfetta e ricalcandone perfettamente gli avvenimenti inserendo come di suo consueto una forte denuncia verso la società.

C’è però un certo manierismo e genio ambizioso dietro a questa pellicola che per molte cose ricorda “Crash”, un altro film che incita ad un profondo senso di terrore.

In definitiva “Cosmopolis” non è un film del tutto riuscito e ammetto che durante la prima visione in sala ho fatto una fatica enorme ad arrivare alla fine del film a causa dei dialoghi eccessivi (perché qui tutti parlano e straparlano come se non ci fosse un domani) ma con il tempo sono riuscito comunque a comprenderlo in pieno nonostante questo difetto che ha smosso critiche un po’ ovunque.

Questo è forse uno dei film più complicati di David Cronenberg, difficile da digerire per gli spettatori occasionali ma ostico anche per chi è cresciuto a pane e Cronenberg come il sottoscritto.

Cronenberg ha trovato, a livello visivo, un’estetica efficace per il romanzo di DeLillo. È proprio il vincolo dell’adattamento che qui lo rende audace. Il film, nonostante qualche difetto è, come sempre nella carriera del regista canadese, degno di nota, non per la rappresentazione di eventi o lo svolgersi del dramma, ma per l’ambientazione di un testo. Nella migliore delle ipotesi, è un esercizio di stile, di uno stile meraviglioso e decadente nel contenuto.

David Cronenberg, collaborando di nuovo con il direttore della fotografia Peter Suschitzky, ha creato l’atmosfera surreale che si adatta perfettamente a “Cosmopolis”, catturando i contrasti tra l’auto di lusso di Eric e la ribellione e la rabbia per strada.

Il film nel suo insieme è uno studio sui contrasti (il bello contro il brutto, ricco e povero, sano e disturbato) ma l’analisi di DeLillo del potere distruttivo della ricchezza, che risulta molto efficace nel libro, ha difficoltà a guadagnare terreno sullo schermo. In questo mondo visivo, i dibattiti diventano pedanti, vanno dalla provocazione esoterica, nel migliore dei casi, al noioso professore di college nel peggiore dei casi. Dal momento che gran parte del film dipende dai dialoghi, “Cosmopolis” risulta leggermente sottotono se confrontato ad altri film del maestro ma comunque da vedere e rivedere per comprendere la grandezza di David Cronenberg e il suo cinema che, anche nei film meno ispirati, riesce sempre ad inserire schegge di grande cinema.


Noi rispettiamo i nostri followers e crediamo che amare il cinema sia anche un ottimo modo per divulgare la cultura e i valori della settima arte. Se ti piace il nostro modo di fare, unisciti agli amici di Beyond the Horror. Il tuo supporto è molto importante per aiutarci a crescere.

© Beyond the Horror Blog 2023

The Northman (2022)

Articolo a cura di Dani Ironfist

THE NORTHMAN (2022)

“Ti vendicherò padre, ti salverò madre”

Questo “ritornello” echeggia già dalle prime battute del film e sarà, come facile immaginare, il tema portante di tutto il film.

Con “The witch” Robert Eggers aveva ambientato il film nella New England del 1400 raccontando una storia di stregoneria intrisa di mistero e con un fascino unico.

Con il successivo “The lighthouse” invece ci trasporta nel 1800 con una storia che di base doveva essere tratta dal romanzo di Edgar Allan Poe, “The light-house” ma che invece ha trasformato in una storia tutta sua e originale priva di somiglianze con il racconto di Poe.

Non è un caso che Robert Eggers sia tornato a ritroso nel tempo anche con il suo terzo film, infatti durante le svariate interviste di presentazione aveva dichiarato di non aver ancora fatto film ambientati in tempi recenti in quanto l’uomo oggi non ha niente da dire. Ditemi, come si fa a dargli torto?

Con “The northman” siamo in Islanda nel X secolo ed è la storia di Amleth che dovrà vendicarsi della morte del padre e liberare sua madre. Questa volta però Eggers prende spunto dall’episodio della “Gesta Danorium” di Saxo Grammaticus che poi venne riadattato nell’omonima tragedia da Shakespeare.

“The northman” racconta un’epica storia di sangue e guerra ambientata nel freddo nord Europa con Alexander Skarsgàrd nei panni di Amleth sempre al centro della scena armato e arrabbiato, niente di innovativo ma che comunque grazie ad una stesura narrativa e una regia di alto livello riesce a coinvolgerci nelle atmosfere epiche e battagliere del film regalandoci momenti di spettacolare cinema epico e fantasy che non si vedeva dai tempi de “Il signore degli anelli” di Peter Jackson.

Bastano solo la scena iniziale con l’arrivo del re e il duello finale (girato e montato con una tecnica pazzesca) per spazzare via tutto quanto fatto nel cinema fantasy negli ultimi 20 anni.

Per certe situazioni siamo anche vicini al film “Conan il barbaro”, l’indimenticabile film diretto da John Milius ma quello che è evidente durante la visione del film è la cura e la ricerca dei particolari con cui Robert Eggers lo ha realizzato, è molto chiaro il fatto che il regista americano per realizzare questa epopea vichinga abbia studiato e letto molti libri a riguardo non soffermandosi molto sul dramma umano “Shakespiriano” ma puntando molto di più sulla cattiveria dell’essere umano e la spietata vendetta che ne deriva e l’apice di tutto questo lo raggiunge nella spettacolare scena della cavalcata della Valchiria.

Robert Eggers non tralascia neanche in questo film la sua vena più orrorifica inserendo nella storia scene cruente e combattimenti con tanto sangue e mutilazioni con Amleth che si difende e combatte in qualsiasi modo, armato di accetta, spada, coltelli o perfino addentando il nemico alla giugulare come un lupo mannaro. Il tutto accade tra streghe e stregoni, spettacolare in questo caso l’apparizione di Bjork nel ruolo della strega veggente che darà più di una dritta ad Amleth.

A livello tecnico tutto è curato alla perfezione con una fotografia plumbea che ci immerge nelle fredde atmosfere nordiche regalando al film delle scene memorabili e un montaggio che riesce a non far distogliere l’attenzione dello spettatore dalla visione del film.

Interessante la scelta del casting, “The northman” comprende un cast di tutto rispetto con molti attori dal Nord Europa tra protagonisti e comprimari e questa secondo me è stata una scelta azzeccata perché lo rende un valore aggiunto al film. Tra i principali protagonisti del film oltre ad Alexander Skarsgàrd troviamo una strepitosa Nicole Kidman nel ruolo della regina Gudrùn, Anya Taylor-Joy che intrepreta Olga, personaggio fondamentale, Ethan Hawke (re Aurvandil) e Willem Dafoe nel simpatico ruolo di Heimir il folle.

Con “The northman” Robert Eggers ha evocato una potente saga sugli uomini vichinghi e il che va tutto bene se non per il fatto che Robert Eggers e il resto dei collaboratori, tra cui lo scenografo Craig Lathrop e il direttore della fotografia Jarin Blaschke, danno la sensazione di aver puntato molto di più sull’impatto visivo ed emozionale che sulla vita interiore di Amleth che non subisce nessuna evoluzione durante la storia. Anche quando la madre lo mette al corrente di alcuni fatti che lui non conosce del tutto rimane dell’idea che la ragione sia tutta e solo da una parte e non rinuncia alla sua sete di vendetta. Come in molti altri film simili recenti Amleth è un personaggio la cui vita interiore non viene molto approfondita ma che viene descritto solo come un guerriero che cerca solo il modo di placare le sue ansie e paure in battaglia.

Nonostante siamo lontani dal quel capolavoro che era “The Lighthouse”, Robert Eggers nella sua (per ora) breve carriera ha fatto di nuovo centro con un film potente ed evocativo che insieme ai due precedenti annovera il giovane regista newyorkese tra i più interessanti registi del momento.


Noi rispettiamo i nostri followers e crediamo che amare il cinema sia anche un ottimo modo per divulgare la cultura e i valori della settima arte. Se ti piace il nostro modo di fare entra a far parte degli amici di Beyond the Horror. Il tuo supporto è molto importante per aiutarci a crescere.

Ennio (2021)

Articolo a cura di Dani Ironfist

ENNIO (2021)

Con il groppo in gola mia accingo a scrivere questa recensione, si perché dopo aver visto questo meraviglioso docufilm realizzato da Giuseppe Tornatore l’emozione è stata così tanta che me la porto dietro da giorni, a rincarare la dose poi c’è stata la rewatch di “C’era una volta il West”, l’immensa epopea western diretta dal grande Sergio Leone nel 1968.

Chi scrive è cresciuto con i film di Sergio Leone e mi ricordo ancora le corse per finire la cena alla svelta poiché i film in tv negli anni 80 iniziavano alle 20,30 e mio padre fino alle 20,00 non arrivava dal lavoro e così puntuale come un orologio svizzero al suo arrivo a casa l’esclamazione: “oh stasera c’è il film di Sergio Leone in televisione!”, e quando il film partiva la musica del maestro Ennio Morricone tuonava tra le nostre quattro mura.

La visione di questo docufilm è stata in un certo senso come rivivere quei momenti, momenti che grazie al connubio musica/film mi hanno fatto innamorare della settima aerte a tutti gli effetti.

“Ennio” è un film documentario sulla vita di Ennio Morricone, con lo stresso Ennio protagonista nel raccontare la sua vita (il film è stato realizzato qualche anno prima della sua scomparsa) dai primi passi nel mondo della musica come trombettista fino all’oscar del 2016 per il film di Quentin Tarantino, “The hateful hate”.

Durante il film ci sono interventi di vari artisti che hanno collaborato con il maestro sia nel campo musicale sia nel campo della settimana arte.

Sentiremo così interventi di Gianni Morandi (le musiche di alcuni suoi successi come “In ginocchio da te” sono state realizzate da Morricone) e altri suoi colleghi che criticavano la sua scelta di dedicarsi alle colonne sonore dei film, critiche che sono state prontamente smentite dal genio creativo del maestro cambiando così il coccetto di musica per film.

Si passa dalla prima parte dedicata alla musica leggera e classica per arrivare poi alla seconda e più ampia parte dedicata al cinema.

Ed è proprio da qui che mille emozioni si scatenato con le immagini dei film e la musica del maestro che si integra perfettamente con le immagini e ne amplifica le emozioni.

Dagli archivi Luce spuntano vecchie interviste tra cui anche il ricordo di Sergio Leone, uno dei registi italiani che adoro di più per aver realizzato delle opere monumentali e qui non possiamo non parlare del connubio musica/immagini. Tanta è la solennità e la profondità con la quale le musiche di Ennio Morricone accompagnano ogni singolo fotogramma che Sergio Leone ha realizzato nella sua, purtroppo, breve carriera.

C’è spazio anche per il racconto di Roland Joffé a riguardo la colonna sonora di “Mission” e la scandalosa notte degli Oscar del 1987 dove il premio per la miglior colonna sonora fu assegnato a Herbie Hancock con una colonna sonora “non originale” e con il maestro che lasciò la sala indignato tra i fischi del pubblico rivolti all’Accademy ed è meraviglioso sentire il maestro accennare alle sue musiche con la sua voce.

Ennio Morricone ricevette soltanto due oscar l’oscar: una alla carriera nel 2007 e l’altro nel 2016 per la colonna sonora di “The hateful eight”, un po’ troppo poco per un’artista del suo calibro, non credete?

Tra gli interventi degni di nota da segnalare anche quelli di Carlo Verdone, Giuseppe Tornatore e James Hetfield (da sempre i Metallica aprono i loro concerti con “The Ecstasy of gold”).

Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore

In conclusione: “Ennio” è un documentario che trasuda emozioni forti e non tralascia nulla della lunga carriera di Morricone e in cui traspare il forte legame di amicizia che legava il maestro al regista Giuseppe Tornatore.

Chi ama la musica di Ennio Morricone e le colonne sonore non può e non deve perdersi questo film in sala, sarebbe un vero peccato non vederlo con il dolby surround delle sale sparato a tutto volume.


Beyond the horror è un blog per chi ama il cinema. Con grande rispetto verso i nostri followers e sostenitori, seguiamo spesso festival, cineforum, rassegne e molto altro con lo scopo di divulgare la cultura e i valori della settima arte con l’intento di consigliarvi sempre nuovi film. Se ti piace il nostro lavoro unisciti agli amici di Beyond the Horror.