Christmas Bloody Christmas (2022)

Articolo a cura di Dani Ironfist

CHRISTMAS BLOODY CHRISTMAS (2022)

Gli horror natalizi sono da sempre i film più ricercati da ogni amante del genere, e quest’anno c’ha pensato la Midnight Factory portando nel bel paese questa bomba firmata Joe Begos, regista di quell’altrettanta bomba che era “Bliss”, un delirio inquietante tra violenza, sesso, droga, allucinazioni e musica heavy metal.

Anche in questo “Christmas Bloody Christmas” il nostro non fa sconti e non risparmia elevate dosi di violenza e splatter.

Il governo degli Stati Uniti ha speso milioni di dollari per perfezionare la tecnologia robotica per distruggere i loro nemici. A causa delle elevate prestazioni dei robot e della padronanza senziente del linguaggio e delle direttive, queste macchine per uccidere vengono riprogrammate e equipaggiate come Babbo Natale in tutto il paese, utilizzate per diffondere allegria invece che paura e guerra.

Ma i robot presentano dei difetti e vengono ritirate ma uno di questi si anima di vita propria iniziando a seminare morte e distruzione nella cittadina dove vive Tori, una giovane ragazza proprietaria di un negozio di dischi che vuole solo ubriacarsi e fare festa con il suo ragazzo durante la Vigilia di Natale ma sarà costretta a lottare per sopravvivere.

Nonostante il film, come potete immaginare, non brilli di originalità l’alchimia tra i due attori protagonisti è notevole e durante il film ero profondamente coinvolto da questi personaggi e in alcuni momenti di questo film mi hanno lasciato senza fiato.

Man mano che il film scorre aumenta anche la follia creativa di Joe Begos che già in “Bliss” aveva sperimentato. Un babbo natale robotico spietato che lascia un’impressionate scia di sangue ovunque passi, il tutto immerso, come in “Bliss” in una clamorosa colonna sonora heavy metal capace di farti lanciare in furiosi headbanging mentre i nostri cercano la via della sopravvivenza.

Seguici su Twitch

Il direttore della fotografia Brian Sowell realizza splendide riprese di personaggi che camminano per le strade della città nelle rigide notti invernali. Nel mentre Joe Begos e la compagnia utilizzano effetti speciali, oggetti di scena e acrobazie fantasiose per offrire qualcosa di più soddisfacente di quanto mi aspettassi. Ho apprezzato il fatto le uccisioni del Babbo Natale siano molto diverse tra loro, alcune banali ad altri orribilmente originali.

Abraham Benrubi cura gli effetti speciali e ritrae un robotico Babbo Natale dal fascino sinistro, un robot che non sembra non morire mai riportandoci con la memoria a “Terminator”. Non è un caso che il film omaggi il capolavoro di James Cameron dato che Joe Begos ha sempre dichiarato che “Terminator” è il film lo ha più disturbato in vita sua.

“Christmas Bloody Christmas” fa il suo e nonostante sia un prodotto a basso budget funziona sia nella caratterizzazione dei personaggi simpatici e sboccatissimi sia in tutto il contorno omaggiando l’horror anni 80 ma anche il postmodernismo alla Nicolas Winding Refn unendo il tutto in un tripudio di luci al neon.

Mi hanno veramente fatto impazzire i due personaggi principali, Tori e Robbie interpretati da Riley Dandy e Sam Delich, si lanciano in dialoghi mai banali anzi, come dicevo sopra, il loro essere sboccati li rende simpaticissimi. Ad esempio nella scena nel negozio di dischi lui, metallaro incallito, sostiene che il “Black album” è il miglior disco della storia del metal e lei, dai gusti diversi, controbatte a brutto muso. Spassoso anche il loro confronto sui film horror. Una caratterizzazione dei personaggi che finalmente in un film horror sono resi semplici e in chiave Sex, Drugs & Rock N’ Roll anche se queste componenti ad oggi giorno sono ormai superate in favore di personaggi più tranquilli e pacati.

Per fortuna Joe Begos è un metallaro vecchia scuola e, dopo “Bliss”, ci regala un altro horror fuori dagli schemi che diverte e terrorizza in diversi punti con personaggi che finalmente si distinguono “dalla massa”.

Il film è stato distribuito in Italia da dicembre scorso grazie a Midnight factory, lo trovate in streaming su Midnight Factory channel e in home video.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, non siamo sotto nessun editore e siamo totalmente indipendenti di conseguenza nessuno ci dice cosa e come dover scrivere. Ma per migliorare e rimanere sempre liberi abbiamo bisogno anche di te! Se ti piace il nostro progetto di divulgazione unisciti agli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2024

Se acquisti il film o qualsiasi altra cosa cliccando su questo banner, Amazon ci riconosce una piccola percentuale a titolo di commissione compresa nel prezzo senza maggiorazione.

Renfield (2023)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

RENFIELD (2023)

Nicholas Cage a volte è proprio un divo del trash. Stavolta lo vediamo nei panni di Dracula in una versione personale del Conte, un mix tra Bela Lugosi e Marilyn Manson… Più Marilyn che Bela comunque.

In questo caso però il protagonista è un’altro, o per essere più precisi, stavolta ci si concentra su uno dei personaggi marginali della storia di Bram Stoker, Renfield, l’impiegato che, andato in Transilvania per aiutare il Conte con le fasi burocratiche dei futuri acquisti in Inghilterra, diventerà il suo servo e cadrà nell’oscurità dei poteri di Dracula.

 Il nostro è interpretato da Nicholas Hoult, volto gentile e giovane, che da qualche anno si è fatto conoscere nel panorama cinematografo internazionale.

Ai giorni nostri Renfield, il servo di Dracula è costretto a trovare sangue per il suo padrone, che ha un disperato bisogno di guarire dopo l’ennesimo tentativo di distruggerlo. La cosa risulta più difficile ma mano che il tempo avanza e il mondo cambia. Tra l’altro Renfield comincia anche ad essere piuttosto stufo.

 Quando la sua strada si incontrerà con quella di una poliziotta in cerca di vendetta da una famiglia mafiosa che gli ha ucciso il padre, le cose inizieranno a prendere una piega insolita.

Senza troppi preamboli il film di Chris McKay è un horror molto d’azione, anzi è più un action molto splatter per essere più precisi.

 Un film puramente d’intrattenimento che, però fa esattamente quello che deve fare.

 Quindi dimenticatevi atmosfere gotiche, damigelle con la pelle bianchissima e in pratica tutto quello che vi potrebbe venire in mente pensando a Dracula.

 Un film leggero che approfondisce a modo suo il rapporto tra il Vampiro e il suo servo, e che sicuramente farà storcere il naso a molti dallo spirito romantico, che si aspettano qualcosa di molto più consono alla storia.

 Cosa importante però è che il film non vuole essere una parodia o uno scimmiottamento della storia originale. Tenetelo ben presente.

 Mio parere personale : ho messo da parte tutte le aspettative e ho lasciato andare il film senza troppe pretese e la cosa per me ha funzionato.

 Non è un film perfetto, né un capolavoro degno di ricordo, ma semplicemente un momento di svago ben dosato e che non offende nessuno. Un film che non si prende sul serio e lo sa benissimo.

 Tra arti strappati e secchiate di sangue, il Dracula interpretato da Cage è perfetto per questo modo di concepire la storia, così come il Renfield di Hoult, che prende super poteri dall’ingestione dei risaputi insetti, o alla poliziotta che fa da spalla, personaggio spassosissimo e che ho davvero apprezzato.

In conclusione andate sul sicuro per una serata leggera leggera con popcorn e coca cola.

In questo sito tutto quello che riguarda il cinema e le serie tv è scritto e raccontato con professionalità e tanta passione. Se ti piace il nostro modo di fare clicca sul banner e unisciti agli amici di Beyond the Horror.

© Beyond the Horror Blog 2024

La maledizione della Queen Mary (2023)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

⚠️ Attenzione! La seguente recensione potrebbe contenere tracce di spoiler! ⚠️

LA MALEDIZIONE DELLA QUEEN MARY (2023)

A circa sei mesi dalla uscita nelle sale, e dal suo totale passaggio, quasi in sordina (voi ne avete sentito parlare molto dopo i primi spot pubblicitari per le sale? Io no, anzi me ne ero quasi dimenticata l’esistenza.

“La Maledizione della Queen Mary” di Gary Shore approda su Sky cinema/Now tv, così, decido finalmente di visionarlo.

La storia prende a piene mani dalle leggende sulla nave, che è reale esiste ed è stata in

attività dalla fine degli anni 30 fino alla fine dei 60, con una parentesi attiva anche durante la

guerra, dove era stata adibita al trasporto di soldati per un certo periodo.

Ora è ormeggiata a Long Beach, dove riposa in forma di attrazione per i turisti con hotel e ristoranti annessi.

I diversi incidenti e morti accadute hanno contribuito ad alimentare la leggenda dell infestazione di ogni tipo dai soldati ai membri dell’equipaggio, fino ad alcuni sfortunati passeggeri.

In questo film vediamo, attraverso due linee temporali, cosa ha provocato l’inizio delle leggende e poi qualcosa che sta succedendo invece ai giorni nostri. Halloween 1938: sulla Queen Mary si sta festeggiando e una famiglia di artisti composta da David, Gwen e la piccola Jackie, si è introdotta in prima classe per consentire alla figlia di farsi notare da vari registi presenti sulla nave. Dopo essere stati scoperti ritornano in terza classe, ma David si intrattiene gironzolando e, al suo ritorno in cabina è inspiegabilmente colpito da un raptus omicida. Con un’ascia, infatti massacra la famiglia e altre persone, provocando un gran subbuglio.

Giorni nostri: La famiglia Caulder sale sulla nave con l’intento di chiedere il permesso di scannerizzarne gli ambienti per poi creare un libro interattivo. Il figlio della coppia ha un incidente mentre fa il Ghost tour, ma tutto sembra ok.

I due genitori però si ripresentano con la scusa di finire il lavoro invece sono alla ricerca dello spirito figlio, che pare sia intrappolato sulla nave.

Da questo momento passato e presente si intrecciano spaventosamente. Sembra che possa tutto funzionare: un’antica maledizione, spiriti e sangue a profusione. Invece il film di Gary Shore è un groviglio nel quale non si vorrebbe restare incastrati.

Ok ai flashback, ma sono inseriti troppo e troppo sono alternati col presente. Ad un certo punto bisogna essere ben concentrati per capire bene. Anche se in fondo non è così difficile. Tutta questa confusione non serve, e non aiuta il film a sollevarsi o ad assomigliare meno ai soliti prodotti.

Ecco perché tirando le somme, La maledizione della Queen Mary non spicca, ma resta lì ormeggiata in un angolo. Peccato perché, come in molti casi il potenziale c’è. È sfruttabile, bastava solo cercare essere meno sofisticati e più semplici stavolta.

Non il peggiore del 2023, ma nemmeno notevole.

Beyond the horror è un blog per chi ama il cinema con grande rispetto verso i nostri followers e sostenitori, seguiamo spesso festival, cineforum, rassegne e molto altro con lo scopo di divulgare la cultura e i valori della settima arte. Se ti piace il nostro lavoro unisciti agli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2024

Vermin (2023)

Articolo a cura di Dani Iron Fist

VERMIN (2023)

Vi ricordate quel mitico cult dal titolo “Aracnofobia” del 1990? Il debutto alla regia del francese Sébastien Vanicek dal titolo “Vermin” prende spunto dal film di Frank Marshall e lo estremizza, realizzando così uno degli horror più frenetici ed efficaci degli ultimi anni che abbiamo visto in anteprima al Fantasticon film festival a Milano.

“Vermin” segna il debutto alla regia di Vanicek dopo una serie di notevoli cortometraggi, tra i quali spicca “Mayday”, un corto che raccontava la storia di un giovane in preda a violente crisi allucinatorie. (NB: I Patreon che hanno accesso ai nostri contenuti esclusivi possono vedere questo cortometraggio che abbiamo visto durante una puntata di “Into the short” sul nostro canale Twitch).

Il film è ambientato in un quartiere povero di Parigi dove il protagonista Kaleb (Théo Christine) vive. Kaleb alla soglia dei 30 anni si ritrova solo e a combattere una battaglia legale con la sorella a causa di un’eredità. Appassionato di insetti sogna di aprire un rettilario e un giorno torna a casa con un ragno raro e velenoso che si lascia sfuggire. Il ragno darà il via ad una vera invasione che invaderà tutto il palazzo. Kaleb dovrà lottare tutta la notte contro il tempo e contro i ragni, che diventano sempre più grandi, per salvare la sorella e i suoi amici. Ma dovrà scontrarsi anche con qualcosa che va oltre il suo immaginario.

Tutti i problemi interpersonali che dovranno affrontare i giovani protagonisti sono uno dei principali motivi per cui “Vermin” funziona. La sceneggiatura di Sébastian Vanicek e Florent Bernard non si concentra solo su paure e morti basate sugli aracnidi, ma, in realtà, si prende il tempo per farti entrare nelle paure di questi personaggi, e qui va fatto un plauso agli sceneggiatori che, finalmente, hanno dato vita ad un film horror dove si riesce ad approfondire i personaggi. All’inizio del film, la festa d’addio nell’appartamento della sua vicina e amica che si sta per traferire, aiuta a stabilire le dinamiche del gruppo e il cameratismo tra tutti loro. Questi personaggi sono alla fine un affiatato gruppo di amici, sono una famiglia con Kaleb che si dimostra anche solidale con gli abitanti del palazzo. Tutto questo rende ancora più tragico ciò che accade nel film.

Ma è la prova dei giovani attori che lascia il segno, soprattutto quella Théo Christine è molto forte offrendo un performance straziante nei panni di un giovane che cerca di capire quale sarà il suo posto nel mondo. Thèo Christine riesca a catturare ogni tumulto emotivo e riesce così a farti entrare nel cuore di Kaleb mentre continua ad affrontare le conseguenze violente dei suoi errori nella vita. Questa non è una horror/comedy sui ragni assassini, ma un film che vuole davvero darti un pugno al cuore mentre centinaia di gambe pelose ti scivolano sul corpo e iniziano a mietere vittime.

Poi, ovviamente, i ragni fanno paura eccome! Sono realizzati con una sorprendente CGI che viene tra l’altro mescolata con l’utilizzo anche di veri ragni. Sono lontani ormai i tempi di “Aracnofobia” dove era palese l’utilizzo di ragni marionette, era comunque il bello del film di Frank Marshall che era però più classificabile come una horror/comedy.

In “Vermin” il ritmo è frenetico grazie ad una buona idea di montaggio e a una sceneggiatura che funziona e non lascia un attimo di respiro fino ad arrivare ad un finale pazzesco nel quale i nostri giovani protagonisti dovranno affrontare un’altra minaccia, probabilmente, più pericolosa dei ragni stessi.

Chiudendo la recensione, “Vermin” è una potente scarica di adrenalina che vi lascerà inchiodati allo schermo per tutta la sua durata e va dato atto al regista Sébastien Vanicek di aver confezionato uno degli horror più sorprendenti di questo ultimo periodo.

Il film uscirà nei prossimi mesi con Midnight Factory, etichetta horror di Plaion Pictures.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

Zombie contro Zombie (2017)

Articolo a cura di Dani Ironfist

ZOMBIE contro ZOMBIE (2017)

Un film intriso di una folle energia, il secondo lungometraggio del giovane regista e sceneggiatore giapponese Shinichiro Ueda è una horror comedy a tema zombie di quelle che lasciano il segno per sua incredibile genialità. Questo è “Zombie contro Zombie” (One Cut of the Dead).

Con un budget di soli 25.000 dollari, il film ha debuttato in Giappone in pochissime sale, per poi diventare un vero fenomeno mondiale, incassando più di 30 milioni di dollari dal 2017 in poi in seguito al rilascio sul servizio di streaming a tema horror “Shudder”.

Ci troviamo sul set di un film horror a tema zombie in cui il regista Higurashi (interpretato da Takayuki Hamatsu) rimprovera l’attrice protagonista per la sua mancanza di espressività. Poco dopo in un momento di pausa delle riprese, mentre i tre attori discutono su come difendersi in caso di una vera invasione di morti viventi, vengono improvvisamente attaccati da una serie di veri zombie. Nel tentativo di difendersi e cercare una via di fuga tra mille peripezie il regista Higurashi continua indomito nelle sue riprese.

La genialità sta nel fatto che tutta la prima parte è girata in un unico piano sequenza, 37 minuti di pura follia, nella seconda parte veniamo invece catapultati qualche mese prima durante la preproduzione del film dove tutto ha inizio. Scopriamo così che questo non era altro che un progetto per lanciare un nuovo canale tv sugli zombie. Viene infatti proposto al regista di dirigere uno spettacolo, trasmesso in diretta e girato con un unico piano-sequenza, dal titolo “One Cut of the Dead” in cui sono protagonisti zombi muniti di ascia. Un’idea folle, ma che il regista accetta.

“Zombie vs Zombie” cattura tutte le difficoltà e la follia del cinema di genere a basso budget e questo nonostante il regista del film, Shinichiro Ueda, abbia più risorse a sua disposizione rispetto alla sua controfigura immaginaria. E non si può davvero che elogiare la semplicità di tutto questo, sia in quella sorprendente ripresa in piano sequenza sia nella parte che arriva dopo. Il film è talmente geniale in tutta la sua messa in scena che, una volta finito, vorrai guardarlo di nuovo per vedere se ti sei perso qualcosa. Merito anche di un ritmo frenetico che non smette mai di stupire.

“Zombie vs Zombie” non è solo un colpo di genio. Fondamentalmente è un film sull’ambizione, l’opportunità, la creatività e la difficoltà di passare dalle idee alla loro realizzazione concreta. Questo processo include spesso incidenti di percorso difficilmente pianificabili. È un film nel film ma anche un film su sé stesso, che sfrutta al massimo un parco giochi abilmente assemblato, ma allo stesso tempo è un tributo e un atto d’amore all’inventiva e al cinema che alla fine mi ha lasciato con un’enorme ondata di gioia e divertimento durante la visione.

Sebbene sia il genere zombie che il cinema giapponese in generale abbiano sfornato pellicole migliori, “Zombie vs Zombie” è una grande scarica di adrenalina. Coloro che si aspettano la saga dello splatter massacrante come il maestro George A. Romero insegnava probabilmente rimarranno delusi da ciò che la produzione di Shinichiro Ueda ha veramente da offrire, tuttavia, per chiunque si consideri un fan del cinema, c’è molto con cui divertirsi, perché qui siamo di fronte alla miglior horror/comedy dai tempi de “L’alba dei morti dementi” di Edgar Wright.

Lo scorso anno è stato realizzato un remake diretto dal regista francese premio oscar Michel Hazanavicius, che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo con il suo “The Artist”.

In questo sito tutto quello che riguarda il cinema e le serie tv è scritto e raccontato con professionalità e tanta passione. Se ti piace il nostro modo di fare clicca sul banner e unisciti agli amici di Beyond the Horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

Dark Was the Night – Caccia al mostro (2014)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

CACCIA AL MOSTRO (2014)

Avete presente quei film che vedete una volta, ve ne dimenticate e poi un giorno vi capitano di nuovo davanti?

 Magari una sera in cui siete annoiati e non sapete esattamente cosa scegliere. E così, a caso, scegliere lui. Tanto non l’ho mai visto. E invece, man mano che i minuti passano lo conosci, e sai già cosa aspettarti.

 Però vai avanti.

“Caccia al mostro”, titolo originale “Dark Was the Night”, è un monster movie a tinte drama del 2014, diretto da Jack Heller, già regista del bel “Enter Nowhere” del 2011.

 Ed è un film che avevo già visto tempo fa, ma praticamente ne avevo rimosso il ricordo.

Questo film tratta principalmente la tematica del dramma legato alla perdita al rimorso e senso di colpa.

 Il protagonista, uno sceriffo di una piccola cittadina Americana, è tormentato dal rimorso per non aver salvato il figlio, morto in un incidente domestico mentre era sotto la sua supervisione.

 Aggiungiamo un vice, appena arrivato dalla città, che ha deciso di ritirarsi a vita più tranquilla in una zona rurale, per via di un azione andata male, dove il suo collega è rimasto ucciso.

 Ad appesantire il tutto aggiungiamo un’atmosfera cupa e perennemente triste, e ovviamente, l’inizio di strani accadimenti, animali morti, spariti e strane impronte per strada.

 Il colpevole già lo scopriamo, o possiamo intuirlo già da prologo, che si svolge a qualche miglio di distanza in una foresta. Una squadra di taglia legna sta disboscando ma qualcosa li uccide.

 Il mostro si è spostato e adesso minaccia la piccola comunità.

“Caccia al mostro” è un film mal equilibrato. La componente drammatica sovrasta troppo quella orrifica, e la soffoca, quasi cancellandola. Il protagonista, interpretato da Kevin Durand è un uomo distrutto dal dolore, dal senso di colpa e ha perso ogni sicurezza in sé stesso e nella capacità di svolgere il suo ruolo di guida nella piccola comunità. Purtroppo, se mi permettete, troppo piagnucoloso nonostante ci possa stare data la situazione. Il vice, interpretato da Lukas Haas, che era il piccolo Frank Scarlatti nella fiaba horror anni 80 “Scarlatti – Lady in white”, ha il suo peso da portare, ma fortunatamente è meno sentito, anche se, alla fine dei conti, non è la vera svolta della pellicola, come invece sembrava voler far intendere in una scena a metà del film.

 Il risultato è un lungo prologo, quasi noioso, che non ha quasi nulla di orrifico, e che ci porta ad un finale sbrigativo, e davvero poco efficace e che lascia lo spettatore un po’ nel dubbio. Per fortuna la cgi, dovuta per la creazione del mostro è minima e, pur essendo poco sfavillante, la bassa qualità si nota appena.

 Nonostante questo il film si lascia guardare in un certo senso, ha sicuramente la sufficienza per l’elemento drammatico, ma non la raggiunge per quello horror.

In definitiva può piacere molto oppure essere una completa delusione, a voi la scelta.

In questo sito tutto quello che riguarda il cinema e le serie tv è scritto e raccontato con professionalità e tanta passione. Se ti piace il nostro modo di fare clicca sul banner e unisciti agli amici di Beyond the Horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

Mandy (2018)

Articolo a cura di Martin Quatermass

MANDY (2018)

“Mandy” è un omaggio alla quintessenza dei film di serie B degli anni Settanta e Ottanta. Pensate alle proiezioni di mezzanotte, ai pavimenti appiccicosi, alle pellicole sgranate, ai cinema drive-in, alle bruciature dei proiettori e alle attività discutibili nell’ombra. È vero che questa particolare passione del pubblico per i film brutti e scadenti non è mai scomparsa in quanto tale, ma è andata via via scemando con le preferenze generazionali di genere. Tuttavia, dalle ceneri del noleggio di VHS/DVD e attraverso gli albori del marketing virale su Internet, nell’ultimo decennio gli studios si sono cimentati nel torbido regno dell’exploitation e dei film grindhouse, riuscendo a penetrare nella coscienza mainstream del pubblico medio, con diversi gradi di successo (Death Proof, Planet Terror, Machete).

Fin dall’inizio di “Mandy”, con le calde e ampie inquadrature di foreste di pini, i titoli di testa rosso vivo e la melodia struggente di “Starless” dei King Crimson in sottofondo, ho capito che questo film sarebbe stato diverso, se non addirittura un po’ fuori dagli schemi. Il protagonista, Red Miller (Nicolas Cage), è un tipo burbero ma vulnerabile, con tatuaggi e pancia da birra, che ha chiaramente chiuso con la vita dura. Ha abbracciato pienamente uno stile di vita ermetico con Mandy Bloom (Andrea Riseborough): una donna eterea, ossessionata dal dipingere i vividi paesaggi mitici dei romanzi fantasy pulp come forma di evasione, che è ferita sia fisicamente (evidenti cicatrici facciali; un caso visivamente impressionante di eterocromia) che emotivamente (problemi con il padre).

Nonostante lo stile di vita accogliente e l’ambiente apparentemente idilliaco, Panos Cosmatos lascia che la relazione tra Ray e Mandy si sviluppi con un curioso senso di distacco. Questo fino a quando non incontriamo l’antagonista del film, Jeremiah Sand (Linus Roache), un cantante folk fallito e leader della setta dei “Children of the New Dawn”. Sand intravede di sfuggita la protagonista del film prima di decidere che deve averla e di dare istruzioni ai suoi fedeli seguaci, trasformati in aspiranti rapitori, di eseguire i suoi ordini. Ed è qui, come si può immaginare, che si scatena l’inferno.

Mandy è stato concepito per essere un’esperienza di visione completamente passiva. Non è che il film manchi del tutto di profondità o di sostanza, è più che altro che Panos Cosmatos sa bene che queste cose non sono necessarie per raccontare questa particolare storia. Il film non ha bisogno di un sotto testo per essere compreso; quello che si vede è il testo. Quando il film si trasforma a metà strada in un horror di vendetta diretto, scendendo rapidamente in sequenze di psichedelia ipnotica, sacrifici rituali e follia ipercinetica, è certamente uno spettacolo da vedere.

L’interpretazione di Nicolas Cage nei panni del danneggiato e collerico Ray è quanto di più vicino alla follia pura e scatenata catturata su pellicola: Nicolas Cage diventa letteralmente “full Cage” in questo film, ed è tanto esilarante da guardare quanto terribilmente degno di meme. Anche la colonna sonora del defunto compositore islandese Jóhann Jóhannsson è adeguatamente sanguigna e fa salire la tensione attraverso un blitz di synth gorgheggianti alla John Carpenter, doom glaciale e sporadiche cariche di heavy metal.

Guardando “Mandy”, la frase più frequente che vi farete durante le due ore di durata, spesso con un tono di puro sconcerto e morboso fascino, sarà: “Che cos’è questo film?”. Ed è una domanda del tutto valida. Sì, “Mandy” può essere visto come un semplice film horror di vendetta. Sì, “Mandy” è anche un fedele omaggio ai B-movie di una volta. Ma è anche il veicolo estetico per Panos Cosmatos per flexare i muscoli del cinema di genere, incorporando elementi di schock, gore, satira e western per creare un pastiche cinematografico ricco di dettagli truci e colori vividi. “Mandy” è senza dubbio uno dei film più divisivi degli ultimi anni. Alcuni lo odieranno, altri lo apprezzeranno; tuttavia, se riuscite a sopportare il viaggio, direi che ne vale la pena.

Beyond the horror è un blog per chi ama il cinema con grande rispetto verso i nostri followers e sostenitori, seguiamo spesso festival, cineforum, rassegne e molto altro con lo scopo di divulgare la cultura e i valori della settima arte. Se ti piace il nostro lavoro unisciti agli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

Piggy (2022)

Articolo a cura d Frina

PIGGY (2022)

“Piggy” è un film del 2022, primo lungometraggio della regista Carlota Pereda basato sull’omonimo cortometraggio della stessa regista e vincitore del Premio Gouge, il Premio Forgué nella categoria “miglior cortometraggio” nel 2019.

Cortometraggio che potete vedere qui.

Il film è stato distribuito nelle sale italiane da I Wonder dal 20 luglio 2023. Passato inosservato a causa della sua uscita in concomitanza con “Barbie” il film è stato un tristissimo flop al botteghino ma raccogliendo molte critiche positive dalla stampa e dal poco pubblico che è riuscito a vederlo, poco pubblico anche a causa di misera distribuzione nelle sale. Dalle nostre parti ad esempio non pervenuto.

Dopo esserci sfuggito per poco all’anteprima nazionale del Fi Pi Li horror festival (2022) e come detto in precedenza non pervenuto nelle nostre lande, grazie a Sky Primafila siamo finalmente riusciti a vederlo.

Il film racconta la storia di Sara una adolescente che, durante l’estate, lavora nella macelleria di famiglia. Non ha amici ed esce sempre da sola, poiché le compagne di classe la bullizzano per il suo peso e il suo aspetto fisico.

Dopo l’ennesimo atto di bullismo nei suoi confronti Sara è testimone del rapimento di tre sue coetanee bulle e deve decidere se aiutarle o lasciarle al loro destino e vendicarsi quindi dei soprusi subiti.

Questo film tocca molti temi delicati che riguardano la società in generale e più in particolare gli adolescenti. Viene trattato il bullismo verso le persone obese che è ancora più doloroso se a subirlo è un adolescente perché questo implica molto spesso l’isolamento sociale. A questa età, infatti, anche gli “amici” spesso non osano mettersi contro i bulli per paura di venire rifiutati dal gruppo e subire lo stesso trattamento della vittima che, così, rimane totalmente sola.

Anche la famiglia non è esente da critiche. Ci sono delle realtà in cui la famiglia è un ambiente tossico in cui i genitori non si rendono conto che con il loro comportamento contribuiscono ad aumentare l’isolamento sociale dei figli. La povera Sara viene infatti trattata da stupida in maniera illogicamente severo e non viene spronata in maniera positiva a migliorare la propria forma fisica ma ulteriormente colpevolizzata e derisa. Il tutto è ambientato in un piccolo paesino in cui tutti si conoscono, i pettegolezzi corrono veloci ed è facile prendere il diverso e l’emarginato come capro espiatorio di quello che succede.

Quando ci si trova vittime come Sara si può uscirne del tutto annientati oppure si rischia di diventare noi stessi carnefici, ma c’è anche una terza via e cioè imparare a ribellarsi senza perdere la propria umanità.

Essendo una regista spagnola, Carlota Pereda aggiunge divertenti tocchi surreale: un toro scappato da una corrida locale che viene ricercato dalla polizia e un cane davanti alla stazione di polizia che abbaia ogni volta che Sara ci passa davanti. Questo sembra suggerire perché il confine tra animale e umano sfuma mentre la ricerca dell’assassino costringe Sara a confrontarsi con i suoi demoni e i suoi più bassi istinti di sopravvivenza.

“Piggy” è un horror femminista che trasforma la vergogna del corpo in giochi sanguinosi e l’intensa interpretazione che Laura Galán dona al film lo rende emozionante e mozzafiato in tutto l’arco dei suoi 100 minuti fino ad arrivare ad un finale incredibile pieno di gore e sangue. Il volto sofferente di Laura Galán diventa il vettore di un’enorme empatia da parte del il pubblico, e senza di lei il film probabilmente non funzionerebbe altrettanto bene.

La direttrice della fotografia Rita Noriega cattura scene sudate e claustrofobiche e con l’uso del formato cinematografico 1.33:1 evoca il piccolo paese di Sara con la sua intolleranza nei confronti della diversità, un luogo da cui Sara ha paura di non poter fuggire mai.

In un periodo in cui non si fa altro che parlare di un mediocre film in cui viene trattato con superficialità il tema del patriarcato “Piggy” si distingue per la sua potenza nel parlare principalmente di body shaming e bullismo, il film mostra infatti anche altre situazioni problematiche come quelle famigliari che lasciano molti spunti di riflessione.

“Piggy” è un folgorante esordio di Carlota Pereda che merita tutta la vostra attenzione perché qui siamo veramente di fronte all’anti “Barbie”.

I Wonder ha davvero il senso dell’umorismo

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror

Il convegno (2023)

Articolo a cura di Dani Ironfist

IL CONVEGNO (2023)

“Il convegno” (Konferensen) è un horror/slasher svedese diretto da Patrick Eklund e distribuito in Italia da Netflix.

A quanti sarà capitato di lavorare fianco a fianco con persone insopportabili ed esuberanti o con ideali contrapposti ai propri? È proprio quello che accade ai protagonisti di questo slasher, un gruppo di dipendenti pubblici che si ritrovano in un campeggio per mettere la prima pietra di un centro commerciale che sorgerà in una tranquilla cittadina in montagna, a detta loro il centro commerciale migliorerà la loro vita ma intanto molti contadini e boscaioli hanno perso le loro terre. A quanto pare, però, qualcuno non è d’accordo e i dipendenti dovranno fare i conti oltre che alle loro idee contrapposte anche con un misterioso serial killer che vuole sterminarli tutti.

La forza del film sta nei suoi dialoghi e nell’ironia verso la speculazione immobiliare, il capitalismo e il pubblico impiego, soprattutto nella prima parte dove i nostri protagonisti si ritrovano in un camping che ricorda molto da vicino le atmosfere di “Venerdì 13”. I rapporti tra colleghi caratterizzati da rivalità, alleanze interne e mobbing nei confronti di chi la pensa diversamente dal “capo” sono un altro punto centrale del film e, come nella vita reale, certi conflitti interni possono essere veramente molto difficili da gestire.

Nella seconda metà, man mano che il film assume un tono più slasher, diventa ancora più divertente, con un finale davvero brutale e ironico al tempo stesso.

“Il convegno” offre dalla sua un’interessante riflessione dal punto di vista del regista svedese: il pubblico impiego e il cinema stesso. Prendendo un genere interamente hollywoodiano e trasformandolo in tutto e per tutto in un film europeo, intelligente e ironico, riesce a trovare i suoi punti di forza nei dialoghi soprattutto nella prima parte quando i dipendenti si ritrovano nelle riunioni.

Non è un film cruento, nonostante un paio di sequenze davvero sanguinolente ma è un film per certi versi più cerebrale con grandi dosi di ironia.

Un altro punto di forza del film risiede nei suoi personaggi che sono ben sviluppati. Gli sceneggiatori Patrik Eklund, Thomas Moldestad e Mats Strandberg ci presentano ciascun membro dell’ensemble prima che ne scaturisca il caos con tutte dinamiche piene di corruzione e avidità che fungono da polveriera che si accende all’improvviso quando l’assassino mascherato, con la testa mascotte dell’imminente centro commerciale Sooty, inizia a fare il suo.

La semplicità della maschera aggiunge un tocco inquietante al film e man mano che il numero dei morti aumenta, il mistero dell’assassino mascherato si approfondisce sempre di più.

“Il convegno” mantiene semplice la formula usata per gli slasher rendendola ironica, tuttavia, il killer quando entra in azione non cerca in nessun modo di essere divertente ma sono le circostanze in cui gli omicidi si svolgono a renderli del tutto ironici.

Inoltre, una cosa che ho molto apprezzato del film è vedere degli adulti intrappolati dall’assassino invece dei soliti adolescenti, che sono i bersagli nella maggior parte degli slasher.

“il convegno” (detto tra noi, il titolo in italiano “suona” veramente male eh) è un film sicuramente da vedere che non regala spaventi facili ma che anzi scorre bene e per certi versi diverte con un buon ritmo e una regia che fa il suo lavoro.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2023

Halloween Party (2019)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

HALLOWEEN PARTY (2019)

“Halloween party” è un film del 2019 diretto da Jay Dahl.

Alcuni ragazzi in un campus sono perseguitati da un misterioso meme, che appare sui loro computer e che chiede di inserire la loro peggiore paura entro 20 secondi. Altrimenti la loro paura si materializzerà uccidendoli. Una ragazza, aiutata da un nerd informatico cercherà di capire come fermare questa cosa.

Un filmetto per Halloween, da aggiungere alla miriade di film a tema o comunque ambientati nel periodo.

 Peccato che questo film, che ha comunque un buono spunto, sia poco efficace a livello orrifico. Va bene che è un teen movie, ma dovrebbe essere anche un horror  La tensione c’è, non è tutto perfetto, ma funziona.  La pecca più grossa, che non lo fa arrivare la sufficienza, è il mostrare davvero poco. O meglio, l’uso smoderato del vedo non vedo.

 Il troppo stroppia si dice. Questo film ne è sicuramente il caso.

 Ed un vero peccato, perché i due protagonisti sono “simpatici” ed è subito facile empatizzare e tifare per loro. E la storia dei bambini deformi, e del campus che prima era un ospedale, non è originale ma fa il suo dovere.

 Il sangue è davvero poco però, ed il finale è piuttosto sbrigativo. Forse budget e possibilità erano limitate e il risultato non poteva essere altrimenti. Sicuramente, se volete qualcosa di molto leggero questo è il film che fa per voi.

 Un po’ di coraggio in più non sarebbe guastato però date le buone premesse.

In questo sito tutto quello che riguarda il cinema e le serie tv è scritto e raccontato con professionalità e tanta passione. Se ti piace il nostro modo di fare clicca sul banner e unisciti agli amici di Beyond the Horror.

© Beyond the Horror Blog 2023