Civil War (2024)

Articolo a cura di Dani Ironfist

CIVIL WAR (2024)

“Civil War” è un film drammatico/guerra scritto e diretto da Alex Garland, scrittore, sceneggiatore e regista che apprezzo fin dal suo esordio “Ex Machina” del 2015 (in realtà anche se non accreditato il suo esordio alla regia avviene con “Dredd – Il giudice dell’apocalisse” del 2012), grandioso film di fantascienza che tratta il tema della IA, seguito da “Annientamento” del 2018, altro grande fanta/action che ha saltato la sala in favore di Netflix (per fortuna poi è comunque uscito in home video) per passare all’horror con il meraviglioso “Men” del 2022, trovate qui la mia recensione.

Da qui capirete quanta attesa per me c’era per questo nuovo film di Alex Garland e l’attesa è stata ripagata perché “Civil War” è un film monumentale che racconta la storia di tre reporter che durante una guerra civile in un ipotetico futuro intraprendono un viaggio da New York a Washington per intervistare il presidente. Una guerra che sconvolge gli Stati Uniti divisi tra stati fedeli al Presidente e stati secessionisti, tra cui Texas e California, alleati insieme nelle Western Forces, e Florida, a sé stante.

Nonostante Alex Garland non ci spiega il perché dell’inizio della guerra si percepisce durante tutto il film il riferimento all’assalto al Capitol Hill del 2021, seguiamo così le vicende di Lee Smith, affermata photo reporter interpretata da una straordinaria Kirsten Dunst, al suo fianco Joel, interpretato da Wagner Moura (mr. Pablo Escobar nella serie tv “Narcos”), ai quali si aggiungono al viaggio l’anziano Sammy (Stephen McKinley Henderson) ma soprattutto la giovane Jessie, un aspirante foto reporter alla quale Lee salva la vita ad inizio film. I quattro partiranno per un viaggio che metterà a dura prova la loro esperienza e di fronte a tutto l’orrore della guerra tra cecchini, campi di accoglienza e spietati soldati pronti a tutto per la loro ideologia.

Quando la democrazia comincia a recedere e la sicurezza fallisce, la violenza e il caos inevitabilmente irrompono. “Civil War” è prima di tutto un thriller politico estremamente potente e montato con cura, portando a casa il punto con una forza inquietante. Alex Garland immagina un prossimo futuro distopico in cui gli Stati Uniti d’America, non sono più uniti ma sul punto di crollare su sé stessi con un presidente pericolosamente borioso insediatosi alla Casa Bianca e uno schieramento di combattenti armati.

Alex Garland non prende posizione, anche se le allusioni alla realtà contemporanea sono abbastanza chiare in tutto il film come anche ho accennato qui sopra. Il punto di vista del regista è essenzialmente quello di un osservatore rispecchiando così l’obiettività dei giornalisti al centro della guerra civile. È un film che mette più di un brivido se pensiamo alla situazione attuale nel mondo e di quella sociopolitica americana, pensando anche alle imminenti elezioni presidenziali con Trump di nuovo tra i candidati.

“Civil War” dona allo spettatore anche più di uno spavento grazie ad un grande lavoro in fase di montaggio che riesce a far maturare empatia verso i personaggi seguendo il loro viaggio fino ad arrivare ad un grande finale con circa venti minuti di guerriglia urbana.

Kirsten Dunst è sensazionale e perfettamente calata nel personaggio ma non sono di certo io a scoprire le doti di questa grande attrice, fa pure la comparsa anche Jesse Plemons, otto minuti in cui lo vediamo protagonista in una scena mozzafiato che descrive senza mezzi termini la situazione attuale negli Usa con le armi alla portata di tutti.

Ciò che non si discute è l’abilità tecnica di Alex Garland dietro la macchina da presa perché “Civil War” è assolutamente bello nonostante le sue atroci rappresentazioni. Il grande lavoro di ripresa del direttore della fotografia Rob Hardy riprende una serie di stili a noi noti, dal caotico filmato distopico di battaglia con elicotteri d’attacco alla voglia di viaggiare mantenendosi stabilmente su livelli altissimi per tutta la durata del film.

Straordinario anche il lavoro dei compositori Ben Salisbury e Geoff Barrow che prendono in prestito dalle vivaci canzoni popolari americane con chitarra acustica e divagazioni strumentali amanti del country mentre i tre fotoreporter passano attraverso un paese distrutto. Grazie a questo connubio il film in alcuni tratti riporta alla memoria quel “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick.

Senza dubbio, “Civil War” è un grande film a livello tecnico, come Alex Garland ci ha abituato, che sfrutta appieno gli strumenti cinematografici a sua disposizione, e per questo merita solo elogi. Durante i novanta minuti della pellicola lo spettatore è portato a domandarsi il perché di questa guerra, cosa l’ha scatenata? In realtà, come accennato sopra, Alex Garland non da risposte a tutto questo. Ma è qui il fattore più inquietante del film, in tutta questa ambiguità il film sprigiona tutto il suo potenziale.

Con le armi a disposizione di tutti si uccide per il gusto di uccidere. “C’è qualcuno che ci vuole uccidere e noi vogliamo uccidere loro” dicono un paio di soldati alle prese con un cecchino che i nostri incontrano strada facendo. Oppure come nella sequenza alla stazione di servizio dove i nostri incontrano un giovane armato fino ai denti che sta torturando due suoi coetanei. “Al liceo non mi parlava mai, ora è costretto ad implorarmi” esclama il torturatore. Un odio sociale diffuso e un desiderio di vendetta senza alcun tipo di motivazione in un contesto che rispecchia molto il mondo attuale.

Alex Garland fa di nuovo centro e mette in scena un film pazzesco che trasuda angoscia e al tempo stesso offre anche molti spunti di riflessione su come sta andando il mono attuale. Non siamo di fronte al suo miglior film, per quanto mi riguarda “Ex Machina” e “Men” sono di un altro livello ma “Civil War” è un grande film e noi poveri cinefili, in un periodo come questo, abbiamo bisogno di un regista del calibro di Alex Garland, con la speranza che torni sui suoi passi e torni quanto prima dietro la macchina da presa. “Civil War” è in sala che vi aspetta.

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Quarto potere – Il capolavoro arrivato dal futuro

Articolo a cura di Dani Ironfist

Quando si parla del capolavoro di Orson Welles non si parla di un semplice film ma di un viaggio attraverso una pellicola seminale per la storia del cinema e per questo motivo questo articolo non sarà l’ennesima recensione dedicata a “Quarto potere”, un film che non ha più bisogno di recensioni ma di essere celebrato in ogni modo possibile, come tra l’altro ha fatto di recente I Wonder Pictures riportandolo nelle sale italiane in una fantasmagorica versione restaurata in 4k. Abbiamo così avuto il privilegio di vedere al cinema quello che da molti critici è considerato il capolavoro assoluto della settima arte.

Nel decennio che precede la realizzazione di “Quarto potere” il giovane Orson Welles muove i suoi primi passi nel mondo dell’intrattenimento tra teatro e radio, e con quest’ultima avventura farà conoscere ad Hollywood tutto il suo genio e talento grazie ad uno sceneggiato radiofonico dal titolo “The War of the Worlds” (La guerra dei mondi) tratto dall’omonimo romanzo di fantascienza di Herbert George Wells. Una prestazione talmente convincente che, nonostante gli avvisi trasmessi prima e dopo il programma, molti radioascoltatori non si accorsero che era tutta finzione credendo davvero che negli Stati Uniti stesse avvenendo lo sbarco degli extraterrestri.

Infatti, il format simulava un notiziario che, a tratti, si inseriva sopra ad altri programmi del palinsesto per fornire una specie di radiocronaca in diretta sull’atterraggio delle astronavi aliene nel New Jersey. Hollywood si accorge di Orson Welles e la RKO pictures gli offre la possibilità di dirigere il suo primo film dandogli carta bianca su tutto, cosa davvero inusuale se si pensa che, all’epoca, Orson Welles aveva appena 26 anni.

Il suo esordio è proprio il film di cui stiamo parlando.

La sceneggiatura di “Quarto potere” (Citizen Kane) scritta dallo stesso Orson Welles insieme a Herman J. Mankiewicz è liberamente ispirata alla biografia del politico e magnate dell’editoria William Randolph Hearst divenuto celebre per la sua spropositata ricchezza e per aver creato uno dei più grandi imperi mediatici di sempre influenzando fortemente il giornalismo e l’opinione pubblica negli Stati Uniti.

Tra l’altro nel film “Mank” diretto per Netflix nel 2020 da David Fincher viene evocata molto spesso la figura di William Randolph Hearst. Un film che vi consigliamo vivamente di vedere perché narra la storia proprio dello sceneggiatore di “Quarto potere”, Herman J. Mankiewicz, film interpretato da Gary Oldman diviso in due parti, la prima negli anni ’30 e la seconda parte incentrata sulla stesura della sceneggiatura di “Quarto potere”.

Anche chi non ha mai visto “Quarto Potere” saprà senz’altro che è il film più bello di tutti i tempi. Il debutto di Orson Welles è diventato un punto di riferimento culturale indiscusso anche nei giorni nostri a quasi cento anni dalla sua realizzazione.

Orson Welles sul set di “Quarto potere”

Ma come ha raggiunto e mantenuto questa posizione così elevata nella cinematografia mondiale? Fin dall’inizio la critica era dalla parte di Orson Welles, descrivendo “Quarto potere” come un classico immediato. “Il film più sorprendente ed emozionante dal punto di vista cinematografico visto da molti mesi… si avvicina ad essere il film più sensazionale mai realizzato a Hollywood”, riportava ai suoi tempi il New York Times. “Appartiene subito al grande schermo”, aveva scritto il New York World-Telegram. Mentre altri critici accostarono Orson Welles a Charlie Chaplin e D. W Griffith, dicendo: “Questo film consacra fin da subito Orson Welles come il regista più entusiasmante attualmente in attività”.

Ma è stata la Hearst Communications fondata proprio William Randolph Hearst a rifiutarsi di pubblicare pubblicità e recensioni di “Quarto potere” causandone un danno economico elevato al botteghino (il film perse qualcosa come 150.000 dollari). Ma non solo, da qui in poi Orson Welles andrà incontro a molte difficoltà nel ricevere budget adeguati a ogni suo prossimo film, rischiando così di avere una carriera da subito in salita. Questo testimonia quanto i media e la politica siano in grado di manipolare il popolo, cosa che purtroppo notiamo accadere anche oggi.

È facile, infatti, riconoscere nel personaggio di Charles Foster Kane (interpretato dallo stesso Orson Welles) molti esponenti della politica italiana degli ultimi 40 anni, ma non solo.

Tuttavia, tutto questo unito alla mancanza di Oscar, fece poca differenza per Orson Welles negli anni immediatamente successivi a “Quarto Potere”. La vendita dei biglietti e il prestigio del settore avrebbero giustificato la libertà concessa a Orson Welles per fare il suo debutto e lo avrebbero posto in una posizione contrattuale molto più forte con i lavori successivi con gli studi. Ma senza soldi al botteghino né Oscar, Orson Welles era vulnerabile: il film successivo “L’orgoglio degli Amberson” fu portato via al regista e gli fu dato un finale ottimista, e le sue idee per progetti futuri furono trattate con un misto di sospetto e disprezzo.

Ma quando la successiva generazione di registi raggiunse uno status elevato in ogni possibile occasione si ispiravano a Orson Welles.  È stato stabilito così un canone critico con “Quarto potere” saldamente posizionato al primo posto. Il film è stato nominato il migliore mai realizzato nel sondaggio indetto dalla rivista britannica Sight & Sounds del 1962, posizione che mantiene tutt’ora nel 2024.

Nonostante sia stato realizzato nel 1941 è incredibile come il film sia ancora così moderno, sembra un film uscito ieri affrontando numerose fusioni di genere, dal poliziesco al noir con una sensazionale parodia dei telegiornali, come dimostra la meravigliosa scena di apertura dopo la carrellata sulla villa di Charles Foster Kane rifiutando una narrazione lineare lasciando allo spettatore il compito di ricomporre, in tutta la sua complessità, la personalità di Charles Foster Kane.

È lo stile di regia però che rende il film innovativo sotto ogni aspetto, le numerose e incredibili carrellate e i movimenti di macchina da presa sono una cosa mai vista prima. Le carrellate, le inquadrature dal basso a riprendere i soffitti e i movimenti di macchina e le incredibili profondità di campo con cui Gregg Toland ottiene una messa a fuoco che riesce ad eguagliare persino l’occhio umano.

Una delle scene più iconiche del film

Il montaggio di Robert Wise e del suo assistente Mark Robson era una cosa mai vista fino ad allora, con le sequenze che s’incastrano in una sorta di puzzle avanti e indietro nel tempo anticipando sin da subito la trama del film. In tempi odierni Christopher Nolan deve molto del suo stile cinematografico a Orson Welles perché sono chiari i suoi punti di riferimento dopo che avrete visto “Quarto potere”, lo si nota nonostante il film andrebbe visto e rivisto per apprendere la sua profondità e il suo significato. Un film complicato se paragonato a quelli dell’epoca in cui lo spettatore può fare fatica a trovare dei punti di riferimento per una narrazione che rispecchia profondamente la complessità del personaggio principale e anche dello stesso Orson Welles.

Gli attori che fanno parte del cast arrivano da una formazione teatrale e non avevano mai lavorato per il cinema fino ad all’ora (prima del film erano stati diretti negli spettacoli teatrali da Orson Welles), risultando comunque alla fine uno dei punti di forza di tutta la pellicola.

Attori come Joseph Cotten, Everett Sloane e Agnes Moorehead avranno in seguito una grande carriera a Hollywood e non solo, una nota particolare alle splendide attrici che interpretano le due mogli di Charles Foster Kane, ovvero, Dorothy Camingore e Ruth Warrick. Senza dimenticare ovviamente lo stesso Orson Welles che porta sul set oltre al suo bagaglio culturale, di autore, attore e regista una straordinaria inventiva a livello di luci e scenografie maturata nel corso degli anni in teatro.

Una cosa che Orson Welles fa in “Quarto Potere” è di non piegarsi alle tradizionali convenzioni del cinema classico di Hollywood. Non solo rivoluziona lo stile di regia ma gioca anche con l’idea di chiarezza e unità in questo film. Ad esempio, scherza con l’idea di spazio e tempo presentati come unificati con l’inclusione del montaggio che non solo introduce retroscena ma anche ellissi temporali. Il film funziona quasi come una cronaca della vita di Kane e, sebbene nel corso della narrazione emergano problemi di comprensione per alcune situazioni, non richiedono la stessa attenzione a cui è abituato il pubblico.

Ora, molti di voi oggi che si avvicinano a “Quarto potere” potrebbero classificare il film come “una palla mostruosa” ma queste persone si sbagliano. “Quarto potere” è quanto di meglio dai film si può ottenere, e chiunque non lo veda ovviamente mancherà di cultura. Se ti senti annoiato è perché Orson Welles vuole che tu ti annoi.

“Quarto potere” non è un film, è un’esperienza da vivere tutta di un fiato, perché non lo guardi, lo vivi.

“Quarto potere” non sono solo due ore della tua giornata, è uno stile di vita che farà esplodere dentro chi lo vede per la prima volta tutto l’amore per la settima arte, così è successo a me.

Il miglior film di sempre? Probabile e per questo il film di Orson Welles resta ancorato in vetta alla classifica dei miei film preferiti di tutti i tempi.

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MaXXXine: Ecco il primo trailer ufficiale del sequel di “X”

Articolo a cura di redazione

Dopo aver ufficializzato la data di uscita e divulgato una serie di poster la A24 ha finalmente rilasciato il primo trailer ufficiale di “MaXXXine”, film diretto da Ti West che va a completare la trilogia iniziata con “X – A Sexy Horror Story” e il prequel “Pearl” entrambi del 2022.

Facendo un piccolo riassunto, il primo film “X” ambientato nel 1979 vedeva protagonisti una troupe di un film porno che vengono massacrati da una coppia di anziani. Mia Goth qui veste i panni di Maxine, giovane attrice a caccia del successo e dell’anziana Pearl. Qui trovate la nostra recensione.

Il prequel dal titolo “Pearl” è il secondo capitolo della trilogia. Ambientato nel 1918 racconta la trasformazione di Pearl da giovane sognatrice a spietata assassina. Senza trucco e un personaggio ispirato al “Mago di Oz”, Mia Goth tira fuori una delle sue migliori interpretazioni.

Con “MaXXXine” siamo invece nel 1985, sei anni dopo gli eventi di “X”. l trailer richiama una nuova estetica, molto anni Ottanta, con protagonista ancora Mia Goth che è poi è la stessa del secondo film della trilogia in ordine cronologico. La trama racconta di Maxine che tenta in tutti i modi di avere successo come attrice a Los Angeles, nel frattempo però un killer noto come The Night Stalker uccide le star di Hollywood. Questa scia di sangue rischia di far tornare a galla il tormentato passato di Maxine.

Ma andiamo al piatto forte perché il trailer è una vera bomba che omaggia Alfred Hitchcock e Dario Argento esaltando tutta la potenza degli anni 80.

Nel cast del film oltre a Mia Goth, troviamo anche Kevin Bacon nel ruolo del detective privato.

Di seguito uno dei poster ufficiali rilasciato dalla A24 e il trailer, vi ricordiamo che il film uscirà negli Usa il 5 luglio. Noi abbiamo adorato sia “X” che “Pearl” inserendoli nella top 3 del 2022 e 2023 e di conseguenza abbiamo un hype mostruoso per “MaXXXine” con la speranza che non accada come per “Pearl” uscito direttamente in piattaforma e in home video ma di poterlo vedere in sala.

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Omen – L’origine del presagio (2024)

Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

OMEN – L’ORIGINE DEL PRESAGIO (2024)

Ed eccoci all’ennesimo prequel e, all’ennesimo film demoniaco con suore che promettono notti insonni a chi si azzarderà a darci un’occhiata.

 Premesse non troppo buone dite? Forse stavolta no.

È in sala in questi giorni “Omen – L’origine del presagio”, prequel del cult di metà anni 70 “Omen – Il presagio” di Richard Donner . Il film è diretto dalla regista Arkasha Stevenson,  qui al suo primo film “importante”.

 Nel cast troviamo la giovane, e semi sconosciuta, Nell Tiger Free e altri molto più conosciuti come Charles Dance, qui solo in un cameo ad inizio film, l’attore Inglese Ralph Ineson, Sonia Braga e Bill Nighy.

La giovane novizia Margaret, viene chiamata a Roma per prestare servizio in un orfanotrofio nel periodo prima la presa dei voti per diventare suora. L orfanatrofio è costituito interamente da bambine e le suore, aiutano anche alcune ragazze madri nel momento del parto.

 Margaret nota subito una ragazzina, Carlita, ritenuta ostile e dai comportamenti violenti. La ragazzina viene infatti spesso messa in isolamento.

 Margaret viene poi avvicinata da Padre Brennan, un sacerdote che le confida il terribile segreto nascosto nell orfanatrofio : alcuni ecclesiastici starebbero tentando di portare il figlio di Satana sulla terra, per poter riavvicinare i fedeli che stanno perdendo convinzione nella chiesa.

 Margaret crede di avere a che fare con un pazzo, ma poi, dopo alcuni accadimenti piuttosto inquietanti, si convince ad indagare e aiutare Padre Brennan. Scoprirà così che Carlita sembra essere coinvolta, suo malgrado, nel complotto, e quindi cercherà di capire come fermare tutto e salvarla.

Arkasha Stevenson dirige un film ben costruito, dalla storia, allo svolgimento, che non risulta monotono ed è ben girato, ben recitato e anche ottimamente fotografato.

 L’uso moderato del jumpscare, un paio, che risultano anche efficaci, e la costruzione della tensione, sono sicuramente di livello superiore rispetto ai soliti film che siamo abituati a vedere molto spesso negli ultimi tempi.

 Ci sono poi diverse citazioni “gustose”, che i fan più accaniti del genere sicuramente apprezzeranno. Una di esse poi è davvero inaspettata, ma davvero molto gradita e ottimamente inserita nel contesto.

 Anche il comparto sonoro è estremamente gradevole ed incisivo, e va a completare una confezione davvero notevole.

 Il cast poi si comporta egregiamente, a partire da Nell Tiger Free, convincente nella sua titubanza a credere subito agli eventi che la circondano. Nel complesso però, ogni personaggio si ritaglia un suo spazio, non resta anonimo e dimenticato.

 Siamo quindi pronti a scoprire come il figlio di Satana ha potuto prendere sembianze umane e venire sulla terra, grazie ad un prodotto di buonissimo livello, degno e rispettoso nei confronti di uno degli horror più importanti degli anni 70.

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Spider (2002)

Articolo a cura di Dario Vitale

SPIDER (2002)

“Spider” di David Cronenberg è una discesa angosciante nella mente di un uomo tormentato dalla sua storia personale. Basato sul romanzo di Patrick McGrath, il film ci porta nei pensieri disturbanti di Spider, un uomo afflitto da una malattia mentale e dai demoni del suo passato.

L’interpretazione di Ralph Fiennes offre una performance magistrale nel ruolo del protagonista, portando alla vita il personaggio con una profondità e una vulnerabilità straordinarie. Viene trasmesso in modo tangibile la lotta interiore del protagonista mentre cerca di districarsi tra la realtà e il delirio, cercando di ricostruire i frammenti della sua memoria devastata. La regia di David Cronenberg è impeccabile, avvolgendo lo spettatore in un’atmosfera claustrofobica e inquietante fin dalle prime scene. La fotografia cupa e i set decadenti aggiungono ulteriori strati di tensione e disperazione alla storia, mentre la colonna sonora evocativa contribuisce a creare un’aura di suspense costante.

La grandezza e inquietudine che provoca il film è che ci costringe a confrontarci con i nostri stessi demoni interiori, i nostri problemi in quanto esseri umani e a riflettere sulla fragilità della mente stessa. L’esperienza cinematografica intensa e disturbante lascia il segno per coloro che sono disposti a immergersi nelle profondità dell’oscurità mentale, offrendo una visione avvincente e provocatoria che rimarrà con loro a lungo dopo i titoli di coda.

Trasponendo il romanzo di Patrick McGrath in un’opera cinematografica, David Cronenberg riesce ancora una volta ad affrontare temi complessi come la malattia mentale, la memoria e la percezione della realtà. La narrazione è intricata, spesso sconcertante, ma la regia guida gli spettatori attraverso questo labirinto psicologico con una maestria che cattura l’attenzione dall’inizio alla fine. David Cronenberg si distingue ancora una volta per la sua capacità di esplorare i recessi più oscuri della psiche umana, senza compromessi. La colonna sonora di “Spider” svolge un ruolo fondamentale nel creare l’atmosfera disturbante e inquietante del film. Composta da Howard Shore, collaboratore di lunga data di David Cronenberg, la musica si fonde perfettamente con le immagini per intensificare le emozioni e l’angoscia del protagonista.

Le composizioni sono caratterizzate da toni cupi, melodie sinistre e suoni dissonanti, che contribuiscono a creare un senso di tensione e disagio. Il tono oscuro e claustrofobico del film è presente sin dalla prima scena, quanto Spider viene rilasciato da un istituto psichiatrico e si trasferisce in una casa per ex detenuti. Ed è con la dinamica del flashback che scopriamo man mano la causa delle turbe mentali del protagonista; emergono infatti i dettagli dell’infanzia di Spider e della sua relazione complessa con la madre, interpretata da una grandissima Miranda Richardson.

L’ossessione per gli insetti, e in particolare, come si evince dal suo nome, degli aracnidi, è un tema ricorrente, esplorato attraverso visioni e deliri che riflettono la sua fragilità mentale e le sue paranoie. Man mano che il film procede, Spider smette di distinguere ciò che è reale da ciò che è frutto della sua mente distorta. Questo processo di confronto culminerà nel climax finale, il momento in cui si offre una chiave di volta allo spettatore per interpretare i misteri che circondano il protagonista.

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Sopravvissuto – The Martian (2015)

Articolo a cura di Dani Ironfist

SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN (2015)

“The Martian” è un film di fantascienza diretto da Ridley Scott e basato sul romanzo “L’uomo di marte” scritto da Andy Weir nel 2011.

Interpretato da un ottimo Matt Damon il film racconta la storia di Markm Watney in missione con la sua squadra sul pianeta rosso, a causa di una violenta tempesta il gruppo è costretto alla fuga dal pianeta ma Mark viene colpito da alcuni detriti e rimane solo sul pianeta. Mark non si scoraggia e armato di una grande forza di volontà dovrà fare di tutto per sopravvivere in attesa di una missione di soccorso. Non voglio aggiungere altro alla trama perché questo a mio parere è uno dei film più sottovalutati di Ridley Scott e passato quasi inosservato.

Abbiamo avuto l’occasione di rivederlo in sala energia al cinema Arcadia di Melzo in occasione di un ciclo di conferenze sull’esplorazione e la scienza spaziale curate dall’astrofisico Luca Perri e vederlo su uno schermo così grande mi ha fatto capire ancora una volta quanto questo film sia così sottovalutato.

Di certo non è una novità quando si parla di Ridley Scott che viene costantemente massacrato da tutti quando poi il pubblico si esalta per porcherie che rasentano il ridicolo.

“The Martian” è una sorta di celebrazione dell’ingegno scientifico di un uomo che deve combattere per sopravvivere, anche contro la solitudine e armato di un forte spirito di sopravvivenza, in una terra arida e sconosciuta. Il personaggio interpretato da Matt Damon mi ha conquistato da subito facendomi ridere, pensare e sperare catturando la mia immaginazione ad ogni visione e questo è merito di una bella sceneggiatura scritta a piene mani da Drew Goddard per una storia perfettamente raccontata e fedele al romanzo di Andy Weir. Matt Damon, infatti, rispecchia perfettamente il Mark Watney del libro, un uomo intelligente e ingegnoso che, pur nelle difficoltà, riesce a rimanere ironico e autoironico.

Indipendentemente da quanto la sceneggiatura sia in realtà un one-man show, “The Martian” riesce a mantenere una trama avvincente e offre molti momenti di tensione.

Il film sarà particolarmente apprezzato da chi ama Marte e sogna di partecipare a una missione spaziale in cui vederlo con i propri occhi, perché il film ha il pregio di farti sentire come se fossi lì. Tutti i meravigliosi panorami ricordano in qualche modo il pianeta Terra finché all’improvviso la mancanza di aria respirabile tenta di ucciderti, la splendida fotografia in cui prevale il color ruggine e non c’è traccia di verde ti porta a chiederti se sia davvero possibile andare su Marte.

Anche la colonna sonora composta da Harry Gregson-Williams è perfettamente inserita nella narrazione che include tra l’altro anche brani pop di Donna Summer, Abba, David Bowie ecc…

La musica è inaspettatamente importante anche nel romanzo nel quale, a un certo punto, il povero Mark Watney non ne può più della disco music portata dalla collega, che vorrebbe ascoltare “qualsiasi altra cosa”. E tra l’altro non posso non aggiungere che la scena in cui è inclusa “Starman” del Duca bianco è una delle più belle ed emozionanti del film.

Ridley Scott conferisce al film uno stile visivo costantemente coinvolgente con spettacolari panorami di Marte e una rappresentazione accurata delle tecnologie spaziali mantenendo un ritmo avvincente che vi terrà incollati allo schermo. Le scene su Marte e sull’enorme astronave sono superbe, anche se sono migliorate dallo straordinario e inverosimile tentativo di salvataggio nell’atto finale ma si sa, Ridley Scott è sempre stato un maestro nel campo della fantascienza.

Ridley Scott dà tensione al film passando da Mark Watney ai compagni dell’ equipaggio nel loro cupo viaggio di ritorno verso casa e i gli esperti della  NASA che cercano di capire come salvare un uomo che non hai speranza di raggiungere fino a quando non sarà morto. Il problema da affrontare non è solamente tecnico-scientifico ma anche politico.  Vengono toccati temi universali come la resilienza, la collaborazione internazionale e la capacità dell’umanità di superare le avversità. Quel mix di paura, tristezza e umorismo crea un lavoro molto emotivo sul piano umano su quello che significa una vita, anche di uno sconosciuto, è un piacere vedere un film in cui l’eroe non è il più coraggioso, il più grande o il più muscoloso. Matt Damon e il resto del cast, compresa una sempre meravigliosa Jessica Chastain, donano al film delle prove attoriali degne di nota.

In un periodo in cui spesso uscivano film e romanzi di fantascienza abbastanza deludenti nel raccontare storie coinvolgenti “The Martian” è stata una grande eccezione. Ha una storia completamente nuova da offrire, che ha avuto origine nella mente di un singolo autore. Andy Weir, ora cinquantaduenne, vive nel nord della California, è figlio di un fisico e ingegnere elettrico e ha iniziato a lavorare come programmatore di computer quando aveva solo 15 anni. Un “nerd spaziale” che ha iniziato a scrivere “The Martian” un romanzo che parla di un astronauta che cerca di sopravvivere dopo essere rimasto accidentalmente bloccato su Marte, pubblicando capitoli gratuitamente ogni poche settimane sul suo sito web. Lo considerava “un libro tecnico per tecnici”, ma trovò moltissimi lettori entusiasti, alcuni dei quali gli chiesero di renderlo disponibile su Kindle per un download più semplice. A differenza del film, infatti, nel libro vengono descritti in modo approfondito particolari tecnici che possono risultare complicati da capire, anche se non pregiudicano la lettura della storia nel suo complesso.

Nel 2013 lo ha fatto, al prezzo minimo, 99 centesimi, ed è diventato un bestseller su Amazon, per poi essere scelto per la copertina rigida da Random House nel 2014 e individuato come potenziale film dal produttore Simon Kinberg, che ha realizzato tra gli altri la serie di “X- Men” ed “Elysium”.

Nonostante nel cinema siamo andati spesso su Marte non c’è niente di più grandioso della diserzione sul pianeta rosso. Questa grande storia di sopravvivenza è realizzata con grande stile e catturerà la tua attenzione sin dal primo fotogramma. “The Martian” è un’avventura cinematografica straordinaria che combina suspense, umorismo e pathos, diventando subito un classico moderno della fantascienza.

Un trionfo dello spirito umano e del grande cinema di fantascienza con Ridley Scott che ogni volta che vola nello spazio non ce n’è per nessuno.

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Drag me to Fest – Spin off – 13 aprile a Milano

Articolo a cura di redazione

Riceviamo e pubblichiamo

Notte Horror con Zio Tibia: il documentario e i retroscena al Drag Me To Fest Spin-off!

Non Aprite Questo Blog presenta Drag Me To Fest Spin-off: evento satellitare del festival del cinema horror indipendente, che si svolgerà sabato 13 aprile dalle 18:00 al Santeria di Via Paladini 8 a Milano, dove verrà proiettato “Zio Tibia – Il Documentario” di Alex e Max Copertino. Drag Me To Fest vi invita a una serata dedicata ad un’icona molto amata da tutti gli appassionati di horror italiani: Zio Tibia, personaggio ispirato al fumetto americano Tales from the Crypt, interpretato da Stefano Cananzi e doppiato da Fabrizio Casadio. 

“Era l’estate del 1989 e andava in onda su Italia 1 la prima puntata di “Zio Tibia Picture Show”, il primo programma italiano interamente dedicato al cinema horror. Il successo del programma fu tale che nel 1990 fu spostata in prima serata con il titolo “Venerdì con Zio Tibia” dando maggiore spazio allo humor macabro del protagonista e proponendo in prima visione tv film come “Ammazzavampiri”, “Unico indizio la luna piena”, “Il ritorno dei morti viventi”, “Vamp”, “Morte a 33 giri e la serie dei Telefilm di Venerdì 13.” 

In collaborazione con Rustblade Records, proietteremo il documentario dedicato a Zio Tibia e il backstage, ci sarà inoltre un incontro con i registi Alex e Max Copertino. Il film ci racconterà il loro viaggio nella storia di questo fenomeno televisivo, descritto dai protagonisti che lo hanno vissuto attraverso interviste esclusive. L’evento è creato con la collaborazione dei nostri sponsor Taboo e Rustblade Records e i media partner Horror Dipendenza, Bloodbuster e Horror Italia 24.

Drag Me To Fest è un evento che vuole riunire i fan del cinema horror italiani, e in questa versione “spin-off”, anche quelli che si sono avvicinati al cinema horror grazie a Zio Tibia. Un modo per mantenere vivo il ricordo di un personaggio iconico e farlo conoscere anche alle nuove generazioni. Vi aspettiamo “Cari zombetti!”.

Prenota il tuo posto in sala su questo link: https://dragmetofest-zio-tibia-nght.eventbrite.it

Troverete anche:
• Il banchetto di Rustblade Records con le copie del documentario

• Pupazzo a grandezza reale di Zio Tibia per i selfie. 

Programma:

18:00 Inizio evento

19:00 Proiezione di Zio Tibia – Il Documentario

20:10 Q&A con i registi Alex e Max Copertino

20:40 Proiezione Backstage di Zio Tibia – Il Documentario

Per maggiori info:

info@dragmetofest.it

#Dragmetofest | dragmetofest.it | Facebook | InstagramX

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News | Prime foto e trailer per “Beetlejuice Beetlejuice”

Articolo a cura di redazione

Warner Bros ha rilasciato in queste ore le prime foto che ritraggono Michael Keaton nei panni di “Beetlejuice” nel nuovo film diretto da Tim Burton. Sequel del fortunato film del 1988, “Beetlejuice Beetlejuice” vede tra i protagonisti del film Jenna Ortega nel ruolo di  Astrid Deetz, figlia di Lydia Deetz interpretata nuovamente da Wynona Rider.

Nel cast troviamo tra gli altri anche il ritorno di Catherine O’Hara nel ruolo della madre di Lydia, Monica Bellucci nel ruolo della moglie di Beetlejuice e Willem Defoe che interpreta un detective fantasma che nella vita è stato un attore di film action.

“Beetlejuice Beetlejuice” arriverà nelle sale di tutto il mondo a settembre 2024.

Di seguito le foto promozionali e il primo teaser trailer italiano del film.

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Night Swim (2024)

Articolo a cura di Dani Ironfist

NIGHT SWIM (2024)

“Night Swim” è un film horror del 2024 diretto da Bryce McGuire e prodotto da James Wan e la
Blumhouse di Jason Blum.
Come capita spesso ultimamente con i film della Blumhouse la critica e il pubblico si dividono. Per
quanto mi riguarda, se escludiamo “Megan” dello scorso anno che aveva al suo interno alcune buone idee,
la qualità dei prodotti ultimamente lascia un po’ a desiderare.
Anche “Night Swim” purtroppo non è da meno ma andiamo con ordine.
Il film racconta la storia di un ex giocatore di baseball Ray Waller costretto al ritiro per problemi di salute
che si trasferisce con la famiglia in una grande casa con una grande piscina. Ray Waller è convinto che la
piscina sia un toccasana per lui e un vero spasso per i figli ma c’è un oscuro segreto nel passato della casa.
Si scatenerà una forza maligna che trascinerà la famiglia negli abissi di un terrore profondo.
Bryce McGuire adatta a lungometraggio il suo omonimo cortometraggio del 2014 ma se nel corto non
succedeva praticamente niente creando solo una buona tensione, nel film di avvenimenti ne succedono
molti ma il risultato finale è una scrittura sgangherata e fin troppo citazionista, già a partire dalla sequenza di apertura che cita in modo troppo palese “Lo squalo” di Steven Spielberg.

A mia memoria non ricordo film horror in cui al centro del film si trova una piscina maledetta e questo è,
forse, l’unico punto a favore del film nonostante si rifaccia molto a “Cocoon – L’energia dell’universo”
del 1985, ma se il film di Ron Howard funzionava sotto ogni aspetto, in “Night Swim” è tutto il contrario.
Fin dall’inizio il film è infarcito dei classici cliché del genere, dai soliti jumpscare telefonati ai soliti
rumori sinistri con voci provenienti dallo scarico. A tal proposito mi sono divertito a vedere la gente
saltare sulla poltrona ogni volta che c’era uno di questi jumpscare. Io mi sentivo quasi come Mr. Bean
sulle montagne russe.
Bryce McGuire mira a esplorare i pericoli che potrebbero trovarsi nel tuo giardino e che potrebbero avere
origine da una cosa apparentemente innocua dell’acqua di una piscina. Terrificante non è la parola che
ti viene in mente quando pensi a una piscina, a meno che tu non abbia la fobia dell’acqua.
Sfortunatamente però, non solo il film non riesce a raggiungere questo obiettivo, ma si dimentica anche di
essere un film di solo intrattenimento.

Ci sono inoltre una serie di incoerenze che si notano soprattutto attraverso la performance di Wyatt
Russell
, Ray è un papà monotono e ordinario al contrario invece della moglie Eve (interpretata da Kerry
Condon)
che nonostante sia la classica madre/moglie scettica è l’unico personaggio che funziona perché,
soprattutto nel terzo atto, cerca di risolvere la situazione portandoci alla conclusione del [F2]mistero.
La poca efficacia di “Night Swim” non è comunque tutta da attribuire agli attori che non riescono ad
avere una propria personalità a causa dei dialoghi scritti in un modo troppo blando per un film horror,
anche la regia di Bryce McGuire ha le sue pecche. Pur essendo ottima in alcuni punti nonostante sia simile
ad altri innumerevoli film horror usa e getta si indebolisce molto nelle sequenze in piscina e questo perché
sono veramente pochi i modi di riprendere un annegamento e di conseguenza il tutto risulta troppo ripetitivo.


Poco originale, poco interessante e decisamente insipido, “Night Swim “non riesce mai a decollare e a
creare un’avvincente storia di paura o a coinvolgere il pubblico con nessuno dei personaggi ed è un film
che ti porta ancora una volta a chiederti perché l’horror più mainstream sia sceso così in basso.
Il 2024 non è iniziato nel migliore dei modi per l’horror in sala ma, per fortuna, il cinema di genere
continua a vivere di vita propria e di alternative a film come “Night Swim” ne sono uscite e ne usciranno
nei prossimi mesi e su queste pagine saremo pronti a parlarvene.
In conclusione, non basta una colonna sonora a base di Judas Priest, “Night Swim” si va ad aggiungere ad una lunga serie di delusioni uscite dall’inizio
dell’anno scorso ad oggi ma sicuramente sarà un film che troverà gradimento nel pubblico più generalista
che trova nell’horror solo un passatempo.

Non siamo critici ma semplicemente una coppia appassionata di Cinema, grazie ad alcuni amici abbiamo tirato su questo progetto con il solo intento di divulgare la settima arte, un tipo di arte quella del cinema che ormai sembra sempre più dimenticata e trattata con superficialità. Se ti piace il nostro progetto sostienici ed entra a far parte degli amici di Beyond the horror.

© Beyond the Horror Blog 2024

Past Lives (2023)

Articolo a cura di Martin Quatermass

PAST LIVES (2023)

L’amore si presenta in molte forme, alcune di esse sono dolorose. Ma niente brucia come un amore non realizzato. Perché non porta solo la morte di meravigliose possibilità, ma anche una vita di desiderio e rimpianto.

Il debutto cinematografico di Celine Song, “Past Lives”, è una storia su questo tipo di amore ossessionante. C’è una tranquilla sicurezza nel modo in cui questo film è girato e montato. Lascia respirare la storia e permette alla dolorosa esperienza dell’umanità di risplendere. La premessa è semplice.

Racconta due decenni di interazioni tra Na Young (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo). Entrambi si piacciono, ma le loro vite prendono pieghe molto diverse quando Na Young parte per il Canada all’età di 12 anni. Nel frattempo, Hae Seung rimane e diventa un “tipico” uomo coreano. Le loro strade continuano ad allontanarsi fino a quando, 12 anni dopo, si incontrano casualmente online. I due si riavvicinano rapidamente e riemergono alcuni sentimenti che avevano lasciato da parte. Tuttavia, il diverso stile di vita e la distanza che li separa si rivelano troppo grandi da superare. Rendendosi conto che nessuno dei due è disposto a scendere a compromessi e a perseguire una vera relazione, Nae Young (che ora si fa chiamare Nora) interrompe bruscamente il rapporto. E così, le loro strade si separano di nuovo. 12 anni dopo, Nora è felicemente sposata con il collega scrittore Arthur (John Magaro). Hae Seung, nel frattempo, è un ingegnere da poco single.

Ho apprezzato molto la grazia con cui viene gestito il soggetto del film. Non c’è una scrittura banale e irrealistica. Tutti sono adulti funzionali che hanno imparato a gestire i propri sentimenti in modo maturo. Si affrontano conversazioni scomode e si avverte una tensione costante, ma non si scende mai nel melodramma prevedibile. Nora e Hae Sung sono entrambi adulti ben adattati che cercano di affrontare la realtà di provare ancora dei sentimenti l’uno per l’altra che non possono mettere in pratica. Questa situazione è il conflitto principale dell’intero film: c’è dolore, desiderio, rimpianto e molti “what if”. Ma c’è anche un amore molto reale e rispettoso. Un amore che si manifesta attraverso piccole azioni, ognuna carica di anni di desiderio. Gli sguardi si incrociano e si mantengono per periodi di tempo scomodamente lunghi. In qualsiasi momento, uno dei due potrebbe cedere. In fondo, si vede che una parte di loro vuole farlo. Lo si legge nei loro occhi e nelle loro posture, lo si percepisce quando si trovano l’uno di fronte all’altro mentre colmano le lacune del loro passato comune, sperando in qualche modo di recuperare il tempo perduto.

Past Lives non parla solo di un amore mai sbocciato. Offre anche uno sguardo ricco di sfumature sulla vita degli immigrati e su ciò che questo grande trasferimento comporta per una persona. Vediamo quanto influisce sulle loro scelte e sulla loro visione del mondo, al punto che la loro identità originaria quasi scompare. Nora stessa non si sente coreana. Come potrebbe, visto che vive a New York da molto più tempo che a Seul? Ecco perché incontrare di nuovo Hae Sung non le ricorda solo l’amore perduto, le fa anche tornare in mente i ricordi di casa. Le ricorda la morte del suo vecchio io e di una vita che non ha mai potuto vivere. Questo la scuote.

Uno dei temi ricorrenti è l’Inyun, ovvero il modo in cui il destino fa incontrare le persone a causa delle azioni compiute nelle loro vite passate. Per Nora, che si è lasciata alle spalle la Corea e le sue usanze, diventa una semplice banalità. Ma per Hae Seung è qualcosa su cui riflettere e soffermarsi. Forse non ci crede alla lettera, ma il pensiero gli rimane dentro e gli turba l’anima, al punto da spingerlo a prenotare quel difficile viaggio a New York per rivedere Nora. Forse sta costruendo altri strati di Inyun finché può, in modo da poter stare con lei in un’altra vita. Per questo il concetto di Inyun è così attraente: suggerisce che, anche se non eravate destinati a questa vita, potrebbe essercene una in cui entrambi ce l’avete fatta. È una possibilità inebriante, che ha ripercussioni pericolose se la si lascia vivere nella propria mente troppo a lungo. Ma è una sensazione che chiunque potrebbe capire. Quando non si hanno alternative reali, ci si aggrappa a qualsiasi cosa per affrontare ciò che non si potrà mai cambiare. La rappresentazione di questo sentimento universale è ciò che rende “Past Lives” così incredibile.

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