Resurrection (2022)

Articolo a cura di Martin Quatermass

RESURRECTION (2022)

“Resurrection”, scritto e diretto da Andrew Semans, si colloca in un sottoinsieme di horror recenti, realizzati da registi uomini, che indagano i danni provocati dalla mascolinità tossica sulle protagoniste femminili. Il problema sorge quando questi registi vogliono rendere il proprio film un manifesto ideologico di una protesta che non gli appartiene e, puntualmente, si dimenticano di dare una caratterizzazione degna alla loro protagonista femminile, rendendola un semplice contenitore dei traumi che ha subito o subirà durante il film. Andrew Semans non cade in questa trappola.

In questo film vediamo il ritratto di una sopravvissuta, una donna che ha costruito la sua vita indipendentemente dalla presenza di un uomo. Questa donna, Margaret, è interpretata in modo impeccabile da Rebecca Hall. Si prende cura del suo corpo, è al top della carriera e ha un buon rapporto con la figlia Abbie (Grace Kaufman). Una relazione abusiva a cui pensava di essere sfuggita 22 anni prima inizia a intaccare il suo senso di sicurezza quando David (Tim Roth), l’ex fidanzato, torna nella sua vita.

Approfondendo un po’ di più il materiale di partenza ho scoperto che Andrew Semans ha condiviso, in un’intervista, che la storia di una sua amica è diventata il fulcro del film e ha catapultato la direzione della sceneggiatura:

“I started writing “Resurrection” about 7 or 8 years ago while I was working on other scripts, so it was a long gestation period. I imagined a character of a single mother acting alone to protect her child from some sort of dangerous threat or predator, but I didn’t quite know who she was or why she must act alone. Around this time, a friend of mine became involved in a relationship with a very toxic guy, and I witnessed their relationship firsthand. In talking to her and trying to understand the nature of that relationship – and trying to figure out how I might help her extricate herself from this relationship – I became interested in and terrified by the tactics employed by manipulative, controlling people to form and maintain intense emotional bonds with their victims. What I learned greatly influenced the shape of the script.”

Ho potuto constatare che Rebecca Hall stava incanalando l’esperienza di quell’amica in ogni fotogramma della sua interpretazione di Margaret. Andrew ha usato la parola “vittima”, ma per me Margaret è una sopravvissuta. È riuscita a ricostruire ogni aspetto della sua vita e quando David si presenta e minaccia tutto questo, lei combatte. Crediamo in quello che sta facendo e facciamo il tifo per lei, anche se c’è un elemento di follia. Perché è questo lo scopo del film: sospendere l’incredulità.

Ciò che allontana “Resurrection” dalla routine standard di una vittima che diventa carnefice è una pretesa assurda – e piuttosto ammirevolmente malata – che David fa. Ha piantato questo seme nella mente di Margaret anni fa, e ha ancora il potere di farla cadere in disordine. Non rivelerò quale sia la sua tesi, ma conferisce al film un gradito tocco di imprevedibilità. Rappresenta qualcosa di reale? O è solo un’allucinazione?

Uno dei passaggi più travagliati riguarda l’allarme che proviamo per la figlia di Margaret. La preoccupazione materna per la sicurezza di Abbie si trasforma in una forma di abuso: Margaret vieta all’adolescente di lasciare l’appartamento, inizialmente mentendo sul motivo. Grace Kaufman fa un ottimo lavoro in questo ruolo difficile: prima viene trattata dalla madre come un’amica, ma alla fine diventa una prigioniera.

Rebecca Hall non cerca apertamente di rendere Margaret simpatica. Tuttavia, nonostante i difetti del personaggio, è difficile rimanere indifferenti mentre la vediamo singhiozzare per la stanchezza e il terrore dopo i suoi incontri con David. Tim Roth fa di David un’inaspettata miscela di meschinità e astuzia: parlando in modo chiaro e deciso, trasforma le parole in armi.

Lo ripeto, questo film è una storia di sopravvivenza. Non vedo Margaret come una donna che ha perso la testa, ma come una donna che si trova a combattere per difendere la propria vita e quella della figlia. L’intensità e la raffinatezza dell’interpretazione di Rebecca Hall rendono credibili anche le parti più surreali, incluso un finale Cronenberghiano che ricorda anche quello del meraviglioso “Titane” di Julia Ducournau.


Se anche tu vuoi supportare tutto il progetto “Beyond the Horror” con l’equivalente di poco più di un cappuccino al mese, ottenendo contenuti esclusivi, clicca sul banner e unisciti agli amici di Beyond the Horror.