Profondo rosso (1975) – Perché dopo 50 anni fa ancora paura?

Editoriale a cura di Dani Ironfist

Grazie a Cat People, casa di distribuzione fondata da Raffaelle Petrini e Alessandro Tavola, che ha l’obiettivo di riportare in sala capolavori del cinema in collaborazione con RTI-Mediaset e con il supporto del magazine Nocturno, sono riuscito a coronare uno dei miei sogni da veterano cinefilo, ovvero, vedere un caposaldo della filmografia del maestro Dario Argento in sala. Anche se era già successo qualche anno fa con “Suspiria”, questa volta è stata una grande emozione e una full immersion nelle vicende che vedono protagonisti David Hemmings e Daria Nicolodi.

Quello che rende unica questa opera del maestro è il fatto che coinvolge profondamente la mente dello spettatore che inizia ad indagare insieme al nostro protagonista. Questa è stata la mia sensazione durante la visione in sala e questo nonostante le numerose visioni iniziate all’età di 12 anni (si parla del 1983) su un piccolo televisore. Rimasi terrorizzato al punto da non riuscire a dormire per un paio di notti. La scena del primo omicidio mi aveva gelato il sangue per la sua efferatezza con la porta che si spalanca e la mannaia che penetra nel corpo della sensitiva. Una scena girata con un montaggio che lascia senza fiato. Immaginate come può rendere al cinema, a quasi 50 anni dalla sua uscita ho visto gente davanti a me distogliere lo sguardo dallo schermo.

Torniamo però un attimo indietro.

Se nel film “Il gatto a nove code” le ninne nanne di Ennio Morricone risultavano un po’ discordanti con la narrazione del film le musiche dei Goblin portano il tutto al completamento perfetto inserendole in un contesto narrativo che fa rabbrividire ogni volta che la sentiamo in eco prima di ogni omicidio.

“School at night – Lullaby” è un pezzo originale dei Goblin ri-arrangiato e divenuta una delle nenie più famose al mondo (per molti anni è stata la mia suoneria del telefono) che fa subito capolino nel breve prologo iniziale con un coltello insanguinato lanciato ai piedi di un bambino.

Provate a vedere la sequenza iniziale al buio su un televisore abbastanza grande e alzate il volume il più possibile e poi venitemi a dire se non vi mette ansia addosso. È una sequenza che, durante i titoli di testa in font bianco su sfondo nero, mostra una serie di oggetti tra bilie, bambolotti e diavoli  riuscendo a costruire un crescendo di tensione che trasmette profonda inquietudine con la complicità della maestosa colonna sonora dei Goblin. Al cinema fa davvero un grande effetto.

È tutto il film, in cui Dario Argento riesce a creare tensione in un crescendo emotivo, che ti lascia inchiodato alla poltrona e con gli occhi piantati verso lo schermo a tal punto da non accorgerti dei molti difetti sparsi qua e là. Questo è solo merito del maestro perché con le sue inquadrature, movimenti di macchina e una fotografia veramente di ottimo livello neanche ti fa accorgere di un frame rivelatore durante la sequenza del primo omicidio e questo perché lo spettatore è preso da ciò che vede ed è talmente catturato dalle immagini e da quello che vede da non accorgersi ad esempio di un bagno del teatro sporco e marcio.

Nonostante il film sia coadiuvato da una strepitosa colonna sonora dei Goblin, Dario Argento gioca molto sui silenzi, soprattutto nelle sequenze ambientate nella villa, ed è proprio questo il bello del film. Il silenzio, infatti, dà maggiore risalto a rumori ambientali che risulterebbero coperti dalla colonna sonora come, ad esempio, un vetro che cade da una finestra, Marc che pesta pezzi di intonaco, una scelta stilistica che ho sempre adorato in questo film e mi ha sempre lasciato quel senso di terrore, anche a distanza di molti anni, come solo i grandi maestri sanno fare.

Emblematica anche la scena dell’omicidio di Giordani, la nenia che irrompe nel silenzio più totale della sua ampia e lussuosa villa, la musica dei Goblin che parte e viene interrotta bruscamente con l’ingresso dell’iconico bambolotto creato da Carlo Rambaldi.

David Hemmings e Daria Nicolodi sono straordinari nei panni di Marc e la giornalista Gianna Brizzi e a tal proposito bellissima la scena del battibecco tra i due sulla presunta fragilità delle donne che accusa Marc, battibecco che culminerà in una sfida a braccio di ferro.

Ho sempre trovato Daria Nicolodi un’attrice perfetta per il genere, in certi momenti la sua risata risulta veramente diabolica. Ascoltare per credere nella clip qui sotto.

Una delle scene più iconiche del film.

Se facciamo un salto indietro di qualche anno probabilmente il vero creatore del sottogenere “Giallo all’italiana” lo si può individuare in Mario Bava con i suoi film “La ragazza che sapeva troppo” (1963) e “Sei donne per l’assassino” (1966) e da questi Dario Argento deve aver preso lezione per la sua trilogia degli animali ricercandone tutti gli stilemi dimostrando che un giallo può diventare un successo commerciale.

Tutto ciò è stato sviluppato in questi tre film e “Profondo rosso” a dimostrazione che Dario Argento non era solo un grande sceneggiatore (ha iniziato la sua carriera lavorando anche con Sergio Leone con il quale ha scritto “C’era una volta il West”) ma un regista di grande abilità, talento e con la capacità di realizzare film assolutamente terrificanti.

“Profondo rosso” probabilmente non arriva a diventare un capolavoro complici alcuni difetti di sceneggiatura (il film è stato scritto da Dario Argento e Bernardino Zapponi, collaboratore tra l’altro di Federico Fellini) che comunque non intaccano il valore del film. Onestamente reputo “Suspiria” e “Inferno” i suoi due capolavori ma pensandoci faccio una fatica enorme a dover scegliere un mio film preferito nel periodo cosiddetto d’oro che va da “L’uccello dalle piume di cristallo” a “Trauma” perché in un’ipotetica classifica potrei cambiare l’ordine dopo aver visto questo o un altro film.

Penso che “Profondo rosso” nonostante non lo reputi un capolavoro sia probabilmente uno dei suoi film più riusciti parlando di struttura narrativa, recitazione, regia e montaggio, poiché ci sono numerose scene caratterizzate da una ripresa molto lunga seguita da alcuni rapidi tagli e con alcuni notevoli lavori di movimento della macchina da presa che sono entrate di diritto nella storia del cinema. Qui prendo sempre come esempio la meravigliosa scena della discussione tra Marc e Carlo girata nella piazza, scena che inizia con la macchina da presa montata su una gru che scende per mettere a fuoco Marc prima di eseguire una panoramica totale sulla piazza. Questo è un tipo di ripresa che solo i grandi maestri sapevano fare tenendo conto che, ovviamente, a quei tempi non esistevano i droni.

“Profondo rosso” alla fine è un film che parla di un assassino che uccide apparentemente a caso, vengono lasciati solo piccoli indizi durante il film e il mistero sarà svelato solo nel meraviglioso finale. Ci sono grandi colpi di scena durante il film con molti parti noir, ma la cosa più inquietante di questo film non è l’assassino, ma è l’atmosfera di tutto il film.

Come detto sopra, “Profondo rosso” non è il miglior film di Argento, ma è ben costruito, visivamente ricco di sequenze mozzafiato e offre il tipo di esperienza che un fan del thriller e dell’horror dovrebbe fare soprattutto ora dal momento che il film è stato restaurato in 4K e riportato nei cinema italiani.

Dopo questa meravigliosa esperienza aspettiamo con grande attesa il ritorno al cinema (dal 21 agosto) di un altro cult dell’horror italiano, quel “Cannibal Holocaust” di Ruggero Deodato che ha diviso il mondo intero, ma questa è un’altra storia..


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