Tumbadd (2018)

Articolo a cura di Martin Quatermass

TUMBADD (2018)

Le paure umane sono universali, ma l’espressione di tali paure è diversa in ogni cultura, il che può
essere molto interessante per gli appassionati di horror. Arriva un momento in cui essere troppo
immersi nelle storie dell’orrore della propria cultura può compromettere la sensazione di estraneità e
sorpresa da cui dipende il genere. Guardare a un altro paese per trovare nuove interpretazioni
culturalmente specifiche di tropi spaventosi – come il giapponese “Ringu”, lo spagnolo “The Orphanage”,
il finlandese “Hatching” o il sudcoreano “The Host” – permette ai fan dell’horror di riscoprire traumi
familiari alla nostra cultura ma rivestiti in modi nuovi e vividi. Lungo la strada, si possono anche
imparare cose affascinanti su quanti modi diversi ci sono per dare forma e condividere le stesse
paure.
Questa è una delle grandi gioie di “Tumbbad”, horror in lingua hindi del 2018 di Rahi Anil Barve che
parla di divinità, avidità e sangue. La struttura di questo film è abbastanza familiare: l’uomo cede ai
suoi vizi e affronta una contabilità soprannaturale. Ma la forma specifica che assume questa storia e
l’immaginario utilizzato per raccontarla non saranno familiari al pubblico occidentale.
Ci troviamo di fronte ad una sorta di favola nera sull’avidità: da dove viene, come si perpetua e come
può agire come una droga, travolgendo i sensi e rendendo le vittime dipendenti. Sohum Shah
interpreta Vinayak come un uomo sprezzante e violento che pensa soprattutto ai suoi piccoli piaceri
e si aspetta che tutti lo servano.
Ma Rahi Anil Barve e il suo team suggeriscono anche una certa simpatia per lui, data la sua provenienza.

La favola che apre il film dice che gli dèi hanno maledetto “Tumbbad” a causa della famiglia di Vinayak e
che le piogge perpetue che sommergono il luogo sono una forma di ira divina. Queste tempeste
hanno un ruolo di primo piano per tutto il film: sia che visitino la villa di “Tumbbad” sia che si rintanino
nella loro baracca, Vinayak, sua madre e suo fratello sono perennemente inzuppati fino alla pelle e
ricoperti di fango. (Rahi Anil Barve dice di aver girato il film nel corso di diversi anni durante la stagione dei monsoni, per ottenere la giusta atmosfera). La famiglia non commenta la pioggia, perché è lo sfondo
perpetuo delle loro vite, ma sembrano infreddoliti e sull’orlo di essere spazzati via del tutto. È chiaro
perché Vinayak sogni la fuga e la ricchezza per vivere come vuole.


Ma “Tumbbad” propone una ricca metafora di come quei sogni sottraggono la maggior parte della
libertà e della felicità alla vita di Vinayak. Egli, infatti, finisce per avere risentimento nei confronti
delle persone che lo circondano e si ritrova in un incubo perpetuo che lo fa riflettere delle
conseguenze della ricchezza acquisita. Non riesce a liberarsi del fardello della sua avidità il che lo
porta a eccessi sempre peggiori. Intorno a lui si sta svolgendo una storia cruciale, il suo Paese sta
soffrendo, cambiando e rafforzandosi, ma lui si è isolato e ha pensato solo al proprio tornaconto. È
una trappola ben congegnata, costruita nel cuore di una storia in cui gli orrori soprannaturali sono
assolutamente terrificanti, ma Vinayak è molto più spaventoso. (Ci sarebbe da approfondire anche di
come il film tratti temi ampiamente politici: dalla dominazione inglese al sistema castale e il privilegio
che comporta essere tra le élite fino alla perpetuazione di un sistema patriarcale, evidente per tutta
la durata del film).

“Tumbbad” è solo l’ultimo esempio del perché abbiamo bisogno di più diversità nei cinema occidentali.
Si tratta di una storia affascinante e raramente raccontata, che potrebbe essere valorizzata solo da
un mercato straniero disposto ad assumersi il rischio di qualcosa con cui i dirigenti di Hollywood non
avrebbero molta familiarità.

Ma con una maggiore pluralità di visioni nei nostri cinema, possiamo
finalmente scoprire nuove storie. Se siamo stanchi di remake, reboot e sequel, dovremo andare oltre
la nostra lente e ampliare gli orizzonti del nostro intrattenimento. Se vogliamo essere il grande
melting pot, anche i nostri cinema dovrebbero riflettere questa volontà.


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