Decision to Leave (2022)

Articolo a cura di Dani Ironfist

DECISION TO LEAVE (2022)

Il mio amore per l’oriente non l’ho mai nascosto, un amore sbocciato da ragazzino quando in tv rimanevo sempre affascinato dai film con Bruce Lee e i film di Akira Kurosawa che spesso passavano in tv.

Un bagno di cultura incredibile per due paesi come  il Giappone ma soprattutto la Corea Del Sud che hanno molto da insegnare a noi occidentali, ed è così che con il crescere in popolarità e qualità il cinema orientale ha sempre fatto più breccia nel mio cuore. Il modo di raccontare storie degli autori orientali di descrivere lo stato attuale della società in cui viviamo è strabiliante, un modo di fare cinema che sul fronte occidentale ormai si è perso in favore di prodotti usa e getta, supereroi e serie tv preconfezionate che finiscono presto nel dimenticatoio, perché, diciamolo con tutta onestà, a differenza di un film, chi è che ha voglia di rivedere una serie tv dopo un certo periodo?

Park Chan-wook è probabilmente uno dei migliori autori al mondo che ci ha regalato delle opere monumentali, basta solo pensare alla “trilogia della vendetta”, all’horror vampiresco “Thirst” e al curioso “I’m cyborg, but that’s ok”.

A distanza di ben sei anni dal meraviglioso “Mademoiselle” del 2016, Park Chan-wook torna alla regia con questa nuova opera dal titolo “Decision to leave”, e lo fa alla grande trionfando al festival di Cannes ottenendo la Palma d’oro per la miglior regia.

Con “Decision to leave”, Park Chan-wook mette da parte alcuni stilemi come il sesso e la violenza che hanno da sempre contraddistinto il suo cinema raccontando una bellissima storia d’amore intrisa di giallo e mistero, sebbene non siano territori sconosciuti al maestro coreano. “Decision to Leave” è decisamente il suo lavoro più personale. Nonostante come detto in precedenza “Decision to Leave” non sia così violento o sessualmente esplicito come ci si potrebbe aspettare da Park, le sue capacità di regia e narrazione rimangono impeccabili, donandoci una pellicola dalle atmosfere hitchockiane che cattura lo sguardo e l’attenzione dall’inizio alla fine.

Hae Joon (interpretato da Park Hae-il) è uno dei migliori ispettori di polizia della Corea, vive a Busan e, soffrendo di insonnia, passa le nottate a sorvegliare i sospettati. Nel corso di un’indagine sulla morte apparentemente innaturale di un uomo su una montagna ne incontra la vedova Seo Rae (interpretata da Tang Wei). Pur sospettando che sia lei la responsabile dell’omicidio allo stesso tempo ne subisce il suo fascino.

In “Decision to leave” sono molti i rimandi all’indimenticabile capolavoro di Alfred Hitchcock “Vertigo”, il personaggio interpretato da Park Hae-il viene descritto come se fosse il “James Stewart della Corea” tanto sono le similitudini con John Ferguson.

Park Hae-il è autore di una performance potente e non è da meno neanche Tang Wei. Hae Joon è un uomo combattuto tra moralità, senso dal dovere e lussuria. Crede davvero di essere un uomo d’onore ma cade in preda ai suoi desideri. Le relazioni personali che hanno portato a una vita felice iniziano a disintegrarsi, ma la sua attrazione per Seo-rae non fa che aumentare.

Nello sforzo di reinventare gli ornamenti delle tradizioni cinematografiche da cui sta prendendo in prestito piuttosto che farne a meno del tutto, Park Chan-wook sente di esserci riuscito, specialmente come conclude l’intensa e pericolosa storia d’amore in un finale meraviglioso che lascia a bocca aperta.

Ancora una volta, Park Chan-wook ha realizzato un film sbalorditivo curandone anche la sceneggiatura scritta insieme a Jeong Seo-kyeong. . Strepitosa come sempre la fotografia curata da Kim Ji-yong e una stupenda colonna sonora del maestro Jo Yeong-wook alzano ulteriormente il livello qualitativo di questa opera.

Certo, sono pochi i registi che possono sperare di creare una storia poliziesca unica, ma Park Chan-wook ha creato il neo-noir femme fatale definitivo per il pubblico del 2022. Di conseguenza, “Decision to Leave” si guadagna un posto tra i migliori film del 2023 e degli ultimi dieci anni. Un film che richiede molte visioni per coglierne le molteplici sfaccettature.

Insomma, grande conferma per Park Chan-wook ed è forse l’unico autore in grado di raccogliere l’eredità lasciata da Alfred Hitchcock.

Ti voglio bene Park.


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Cinque film sudcoreani da non perdere

Articolo a cura di Dani IronFist

In concomitanza con la distribuzione nelle nostre sale del nuovo film di Park Chan-wook (“Decision to leave”), con questo articolo vi consigliamo cinque thriller coreani assolutamente da non perdere.

Pronti? Via!

BITTERSWEET LIFE (2005)

“Bittersweet life” è un thriller di vendetta sull’onore e la tragedia caratterizzato principalmente per la straordinaria prova dell’attore Lee Byung-hun.

Kim, il braccio destro del boss Kang, è un sicario silenzioso ma brutale. Kang sospetta che la sua nuova ragazza lo tradisca, affida a Kim il compito di sorvegliarla mentre è via per un viaggio di affari e di uccidere ogni amante che scoprirà. Kim però quando scoprirà il tradimento non ucciderà gli amanti ma si invaghirà della ragazza del boss. Questa decisione scatenerà l’ira del boss e inizierà una serie di scontri violenti e senza esclusione di colpi tra Kim e Kang che porteranno a un finale meraviglioso.

Kim Ji-woon gira un noir/thriller incredibile e dal buon ritmo trovando anche il modo di rendere la violenza poetica e profonda in un’escalation che lascia esterrefatti.

“Bittersweer life”, il quarto film di Kim Ji-woon, e il bellissimo horror “Two sisters” sono i due film che lo hanno reso uno degli autori più moderni e raffinati della Corea. Un regista virtuoso dei generi, e con “Bittersweet life” dimostra che è possibile girare un grande film anche basandosi su trama lineare. Riesce a raccontare una storia che colpisce nel centro rendendo questo film uno dei migliori noir/thriller degli anni 2000.

Il film è uscito in Italia direttamente in home video.


I SAW THE DEVIL (2010)

Altro giro altra corsa e rimaniamo nella filmografia di Kim Ji-woon con quello che ritengo il suo capolavoro.

“I Saw the devil” si ricollega per certi versi alla trilogia della vendetta di Park Chan-wook la quale, grazie al successo ottenuto, ha portato il tema della vendetta a essere il preferito degli autori sudcoreani.

La storia raccontata nel film inizia con una donna di nome di Ju-yeon che si trova sul ciglio della strada con l’auto in panne. Un uomo si avvicina per aiutarla ma lei rifiuta. Pochi istanti dopo l’uomo, interpretato da Choi Min-sik (divenuto celebre per aver interpretato in precedenza il protagonista di “Oldboy”), sfonda il parabrezza dell’auto rapisce la ragazza e la uccide facendola a pezzi scatenando l’ira del suo fidanzato che si vendicherà tormentandolo con una violenza inaudita.

Sebbene in gran parte programmato nel circuito dei festival horror, “I Saw the Devil” si discosta molto da certe tematiche con la sua integrazione di spionaggio in stile guardie e ladri e un emozionante combattimento corpo a corpo, mentre i due uomini si affrontano ripetutamente. Un capolavoro che lascia senza fiato e assolutamente da non perdere, per tecnica, regia e una fotografia sporca che ci fa addentrare nelle vicende dei due protagonisti. Il film, purtroppo, in Italia è ancora inedito.


MEMORIES OF MURDER (2003)

Bong Joon-ho è salito alla ribalta in tempi recenti grazie a “Parasite” ma forse non tutti conoscono la meravigliosa filmografia di questo grande autore.

“Memories of murder” (conosciuto anche come “Memorie di un assassino”) è un giallo/thriller in cui viene raccontata la storia di una serie di omicidi che avvengono nel villaggio della provincia di Gyunggi. Due investigatori si fanno carico del caso, ma le indagini risultano più complicate del previsto.

Bong Joon-ho mira a rafforzare la suspense filmando alcune scene pre-omicidio dal punto di vista delle vittime con un montaggio che riesce a tenere alta la tensione e con un finale che segna il miglior risultato narrativo mai realizzato nella carriera di Bong Joon-ho.

Un film che lascia il segno grazie anche alla splendida interpretazione di Song Kang-ho.

Il film è disponibile su Sky cinema e sulla piattaforma streaming Now tv.


NIDO DI VIPERE (2020)

Kim Yong-hoon, classe 1981, è un giovane regista coreano che si è fatto conoscere negli ultimi anni proprio grazie a questo sorprendente pulp/noir dalle tinte thriller uscito in Italia lo scorso anno.

Il film racconta la storia delle difficili esistenze di un gruppo di persone tra loro sconosciute, ma legate dal destino, e da una borsa piena zeppa di denaro, che a ognuno di loro occorre per motivi differenti.

Al centro di questo film c’è appunto una borsa piena di denaro che fa da motore agli eventi narrati con una escalation che ricorda molto da vicino l’eccesso di Quentin Tarantino nel suo celebre cult “Pulp fiction” ma c’è molto anche dei fratelli Coen in questa pellicola.

I cliché del genere abbondano e troviamo così, tra i vari personaggi, il gangster loquace, la sgualdrina con un cuore, l’inarrestabile scagnozzo silenzioso. Ma Kim Yong-hoon gioca con loro (e con noi) mentre, di tanto in tanto, tira fuori inquadrature coreografate e montaggi ingegnosi in scene in cui dimostra quanto sia un regista esperto.

“Nido di vipere” è una commedia noir con grandi interpretazioni che sono del tutto in linea con l’etica del film. Si tratta di un manipolo di attori posizionati come pedine degli scacchi in uno scenario strettamente costruito e guidato da una storyboard alla Hitchcock.

Il film è disponibile in home video e sulle piattaforme streaming Prime video e Apple tv.


STOKER (2013)

In attesa della visione di “Decision to leave”, che vi ricordiamo è in sala in questi giorni, non poteva mancare tra i consigli il grande maestro Park Chan-wook.

Per questa occasione abbiamo scelto il suo film che rappresenta l’unica intrusione nel cinema americano, ovvero “Stoker”, interpretato da Nicole Kidman e Matthew Goode.

Il mondo di India Stoker va in frantumi quando il padre muore in un incidente d’auto. L’improvviso arrivo di suo zio Charlie di cui non conosceva l’esistenza sconvolgerà la sua vita.

“Stoker” ,il primo film in lingua inglese dell’autore di “Oldboy”, contiene molti cenni alle opere di Alfred Hitchcock. Il sesso e la violenza, e persino l’incesto, hanno un posto curiosamente significativo nelle opere di Park Chan-wook, che sembra dedicarsi a progetti troppo radicali o audaci per la sensibilità di Hollywood. È strano, quindi, che Park abbia in qualche modo portato il suo lavoro completamente unico e viscerale negli Stati Uniti nel 2013.

Insieme al montatore Nicolas De Toth, Park Chan-wook crea intere sequenze che vanno avanti e indietro tra India e Charlie per implicare la loro connessione e relazione ma con modalità che ricordano film di David Lynch.

Un altro grande tassello nella filmografia di questo eccezionale autore sudcoreano. Park Chan-wook senza ombra di dubbio fa parte di quella cerchia di registi che ritengo impossibilitati a fare film brutti, persone che vivono di cinema al 100%.

Il film è disponibile in home video e sulle piattaforme streaming Prime video e Apple tv.


Conclusioni:

Il cinema orientale e in particolare quello coreano negli ultimi 20 anni ha segnato un enorme salto di qualità sfornando centinaia di titoli di cui purtroppo la stragrande maggioranza non ha una distribuzione nel nostro paese. Molti film sono delle vere e proprie opere d’arte anche perché non si danno limiti nel raccontare, attraverso i film, tutto il male della società. Questa cosa nel cinema occidentale, ormai si è persa, soprattutto negli Usa.

Sono lontani i tempi dei vari Carpenter, Romero ecc… ma possiamo riviverli grazie a questi grandi autori.

Siamo arrivati alla fine e spero che questo articolo sia stato di vostro gradimento, ora attendo con pazienza l’8 febbraio per la proiezione di “Decision to leave”, uno dei film più attesi dell’anno per il sottoscritto e di cui vi parlerò prossimamente.


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Goksung – La presenza del diavolo (2016)

Articolo a cura di Martin Quatermass

GOKSUNG – LA PRESENZA DEL DIAVOLO (2016)

Jong-goo (Kwak Do-won) è un poliziotto locale e padre premuroso di Hyo-jin (Hwan-hee Kim), la giovane figlia. Un estraneo entra nel loro villaggio e subito le cose cominciano ad andare male. Le famiglie vengono trovate orribilmente assassinate e le persone del villaggio sembrano cambiare. Il colpevole, secondo gli abitanti, è un giapponese che vive nella foresta; ma cosa sta succedendo davvero? Mentre Hyo-jin si ammala, Jong-goo si assume il compito di risolvere il mistero che circonda esattamente ciò che sta accadendo al loro villaggio.

“The Wailing” si apre con un estratto della Bibbia. Viene da Luca: Gesù, non molto tempo dopo la sua resurrezione, chiede ai suoi seguaci di avere fiducia nella sua presenza materiale nel mondo, anche se lo hanno visto crocifisso sulla croce. Egli afferma di non essere un fantasma o un’apparizione: è in carne e ossa. Ma è anche qualcosa di soprannaturale, non è vero? La sua presenza infrange ogni regola conosciuta della mortalità, e quindi forse dovrebbe essere messa in discussione. Il passaggio sottolinea l’idea che ci si debba fidare dei nostri occhi, anche quando l’impossibile sembra manifestarsi in immagini da incubo.

Questo è il terzo film di Na Hong-jin che, dopo due action-thriller di successo con “The Chaser” (2008) e “The Yellow Sea” (2010), passa a un genere completamente diverso. L’autore attinge da una ricca fonte di classici dell’horror per creare qualcosa che non sembra mai derivativo.

Egli utilizza la grammatica familiare del genere horror in tutto “The Wailing”, ma il suo film usa questo immaginario per affrontare i molti spettri che incombono nel passato della Corea: la memoria del violento dominio coloniale del Giappone e la guerra civile che ha portato le famiglie ad attaccare le proprie. Questi elementi storici, pur non essendo mai citati per nome al pubblico, emergono in modi orribili che mostrano come Na Hong-jin usi il genere per indagare le cicatrici del suo Paese attraverso una potente metafora.

La maggior parte delle recensioni che hanno seguito la prima di “The Wailing” a Cannes hanno commentato che la storia era difficile da seguire. Molti sostenevano che la trama si muoveva in troppe direzioni senza trovare un’idea precisa. Il critico di Variety ha scritto che la storia “makes no logical sense whatsoever”, ma ha lodato il controllo magistrale di Na Hong-jin alla regia. Anche se i critici hanno elogiato il film, sembravano pensare che fosse una miscela di generi priva di significato. David Ehrlich su IndieWire ha spiegato che “while Na expertly delivers one spine-chilling moment after another, they ultimately sludge together into nonsense”.

Non si può dire con certezza se i critici abbiano recensito il film in modo affrettato dopo il suo debutto al Festival di Cannes o se non si siano presi il tempo necessario per teorizzare ciò che accade nella storia. Ma il film funziona come una sorta di test di Rorschach in cui le risposte dipendono dalla propria spiritualità o dalla sua mancanza.

A prescindere dai dubbi degli altri, la maggior parte ha convenuto che “The Wailing” è un film sicuro di sé oltre che una gioia per gli occhi. Hong Kyung-pyo, direttore della fotografia di molti film di Bong Joon-ho, tra cui il più recente “Parasite”, alterna eleganza visiva e orrore. Quello di Na Hong-jin è un mondo in cui tutto può accadere, e le ragioni non sono sempre chiare.

Ma dare al pubblico risposte precise potrebbe neutralizzare l’effetto del film: l’orrore di non sapere è più spaventoso di qualsiasi spiegazione. Sebbene “The Wailing” sembri fornire una spiegazione alla fine, una curiosa inquadratura nel finale ci lascia in dubbio sulle nostre certezze, proprio come ogni buon film horror dovrebbe fare. Il film di Na Hong-jin fa parte di una lista di titoli horror che mettono in discussione tutto, costringendo a rendersi conto che la maggior parte delle persone non sa nulla di certo e tuttavia si comporta con convinzione. Cosa c’è di più spaventoso?


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Thirst (2009)

Articolo a cura di Frina

THIRST (2009)

Con “Thirst” siamo forse di fronte al film meno noto di Park Chan-wook, straordinario regista coreano conosciuto ai più appassionati per la trilogia della vendetta (“Mr.Vendetta”, “Old boy” e “Lady vendetta”).

Il film è un horror vampiresco tanto sofisticato quanto morboso in ogni sua sequenza con la coppia di attori, Son Kang-ho e Kim Ok-bin, autori di due prove monumentali.

Sang Hyeon è un prete molto amato nel suo paese che, un giorno, accetta di partecipare a un esperimento di ricerca per trovare la cura a un virus letale. Il prete, in seguito a una cura sperimentale, riesce a sopravvivere alla malattia diventando però un vampiro. Questa trasformazione lo cambia profondamente e, in seguito, si innamorerà della moglie insoddisfatta di un suo amico con la quale verrà iniziato al sesso in un rapporto focoso e morboso che avrà su entrambi effetti devastanti.

Sang Hyeon si trova così a dover reprimere le sue pulsioni di vampiro e far fronte alla sua sete di sangue cercando in tutti i modi di estinguerla cercando di non recare danno agli altri.

Ciò che salta subito all’occhio è la tecnica, veramente notevole, del regista di Seul esaltata da una fotografia eccezionale, con una cura maniacale per ogni dettaglio mostrandoci tutto ai nostri occhi, sesso, depravazione e sangue a volontà.  

Il film segue l’evoluzione fisica e psicologica dei due protagonisti e pochi altri personaggi si inseriscono nella storia. Anche se si tratta di una storia di vampiri è molto importante la parte psicologica, e i rapporti non sempre sani tra i vari personaggi. Abbiamo una madre dalla generosità falsa e manipolatoria che aiuta gli altri solo per metterli nella condizione di essere in debito a vita (un personaggio che risulterà veramente odioso), un figlio malato e mammone che non ha la minima autonomia senza la moglie e la madre e infine una ragazza cresciuta in un ambiente tossico e opprimente che farebbe di tutto pur di uscirne e avere una vita più appagante. Alla fine, risulterà essere uno dei personaggi più complessi e interessanti del film, difatti l’entrata in scena di Tae-ju, interpretata dalla bravissima Kim OK-bin, si rivelerà uno di punti chiave del film che porterà a degli sviluppi imprevedibili.

Park Chan-wook, dopo le sue esperienze con il cinema noir, mette in scena un film horror molto particolare nel suo complesso con un profondo significato. Il talento del regista viene fuori in maniera incredibile nel riuscire a raccontare in maniera originale una storia classica di vampiri ispirandosi per certi versi al capolavoro di Francis Ford Coppola, ovvero “Dracula di Bram Stoker”.

Un film assolutamente da non perdere se amate l’horror, uscito da poco in Italia grazie alla Midnight Factory.

Nonostante il film sia del 2009 è arrivato da noi solo nel 2022 a dimostrazione che noi siamo quelli che arrivano sempre dopo e non di poco.

Vi consiglio di recuperare tutta la filmografia di questo straordinario regista a partire dalla trilogia della vendetta che in questi mesi sta venendo pubblicata, sempre dalla Midnight Factory in bellissime edizioni.

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