Crimes of the future (2022)

Articolo a cura di Martin Quatermass  e Dani Ironfist

Scavando nelle viscere succose del mondo dell’arte e suturando il tutto come un noir fantascientifico avvincente e ambizioso, “Crimes of the Future” emoziona, anche se lascia alcuni pezzi narrativi vaganti cuciti nelle sue cavità cicatrizzate.

Entriamo nello specifico: Saul Tenser (Viggo Mortensen) e Caprice (Lea Seydoux) sono artisti performativi il cui mezzo è la generazione e la rimozione di neo-organi. Saul li costruisce, Caprice li fa a pezzi. La nostra distruzione del mondo, riempiendo gli oceani di plastica e l’aria di inquinamento, ha permesso che ciò accadesse. L’umanità è ora letteralmente insensibile. Molti riescono a sentire il vero dolore solo mentre dormono. Questa sofferenza inconscia è solo una delle tante facce affilate della metafora di Crimes.

Saul, vestito come un Sith d’alta moda, sepolto in strati neri di streetwear drappeggiato, è la controfigura del nostro regista. È un artista invecchiato, che genera automaticamente le sue creazioni (ancora significative). Cerca una soddisfazione di principio che è quasi accidentale; non può fermarsi, altrimenti morirebbe davvero. Riconosce di essere in via d’estinzione e osserva coloro che lo circondano con disappunto. Ci sono gli spocchiosi (un ballerino con gli occhi e la bocca cuciti, rivestito di orecchie che, come dice Saul, non sono nemmeno funzionanti) e gli aspiranti seguaci (Timlin, desiderosa di lasciarsi alle spalle i suoi doveri di archivista e di far parte dello spettacolo). E ci sono i rari che si lasciano avvicinare, quelli che capiscono. Ci sono alcune battute tra Saul e Caprice sul fatto di fare le cose solo per la propria soddisfazione, che sono intime e piene d’anima come nessun altro film di Cronenberg.

Ma non preoccupatevi, il cineasta è ancora qui per sfidare i pretendenti al suo trono. Gli spettatori riprendono le performances con videocamere ad anello, ma anche con videocamere anacronistiche e foto scattate con fotocamere anni ’80; è nei letti e nei seggioloni ossuti, fragili e avvolgenti che vediamo una visione del deterioramento fisico dell’umanità. Ma questo deterioramento ha anche lasciato molto spazio allo sviluppo. Nuovi organi, nuovi sistemi e nuovi mezzi ben commercializzati per curarli: tutti aspetti di un’evoluzione accelerata che prende la forma di strani tumori e di apparati digestivi.  

In “Crash”, un personaggio dice: “It’s something we are all intimately involved in: the reshaping of the human body by modern technology”. In seguito Cronenberg rivede la sua posizione, considerando quell’affermazione un rozzo concetto fantascientifico che sta al posto di qualcosa di molto più filosoficamente complicato. Con il suo stile classicamente intellettuale e depravato, “Crimes of the Future” bilancia entrambi i sentimenti.

Cruento eppure delicato, “Crimes of the Future” dimostra ai nuovi arrivati che un vecchio maestro può ancora fare la sua parte in questo mondo. Ma l’impatto più significativo dell’ultima impresa del regista canadese è nella sua rappresentazione di un pioniere che finalmente vede l’orizzonte. La visione del futuro di Cronenberg comprende che la vera morte di un artista e la morte della società in generale derivano dalla stessa tragica incapacità di evolversi, anche se questa innovazione è semplicemente un rinnovamento.

(Martin Quatermass)


Mai “parto” è stato più travagliato per David Cronenberg, difatti con la realizzazione di “Crimes of the future” il regista canadese ha dovuto subire una lunga serie di rifiuti per la produzione del film, ha perfino ricevuto un bel calcio nel sedere da Netflix, che dopo aver letto la sceneggiatura, ha rifiutato di produrgli il film.

Fortuna vuole che il nostro non si dà per vinto e trova nell’Argonaut productions la casa di distribuzione ideale per la realizzazione del film.

In Italia “Crimes of the future” è stato distribuito dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti, splendida realtà da sempre attenta nel portare in Italia cinema di grande qualità.

Ma facciamo un breve passo indietro: “Il corpo è una galassia”. Con questa esclamazione Adrian Tripod ci introduceva nella sua clinica nata per curare una nuova malattia nel secondo mediometraggio di David Cronenberg dal titolo “Crimes of the future” (1970).

Nonostante non ci sia nessuna somiglianza con il nuovo film, hanno comunque alcune cose in comune. Nel mediometraggio del 1970 un uomo è ricoverato nella clinica di Adrian Tripod a causa di una nuova e misteriosa malattia che gli fa crescere in corpo nuovi organi dalla funzionalità sconosciuta e che via via gli vengono asportati. La malattia viene definita come “cancro creativo”. Tanti elementi quindi che verranno poi ampliati e sviluppati in seguito da David Cronenberg e che ritroveremo anche in questo nuovo “Crimes of the future”.

“La chirurgia è il nuovo sesso”.

Ci troviamo in un futuro distopico dove il corpo umano ha subito dei mutamenti e riesce a creare nuovi organi e dove le infezioni e il dolore sembrano del tutto scomparsi. In tutto questo Caprice e Saul (interpretati da Lèa Seydoux e Viggo Mortensen) sono una coppia che cerca di tranne profitto e spettacolo portando in scena ad un vasto pubblico alcune performance in cui l’esperta chirurga esporta gli organi appena sviluppatosi nel corpo di Saul.

David Cronenberg torna dietro la macchina da presa a distanza di ben otto anni da “Maps to the stars” e lo fa in grande stile con tutti gli stilemi che hanno reso celebre il cinema del maestro del body horror.

L’immagine di un nastro Betamax inserito nell’addome di James Woods in “Videodrome” è entrata nell’immaginario collettivo di tutti gli appassionati di horror. Quarant’anni dopo quella penetrazione, il regista David Cronenberg ci porta con “Crimes of the Future” nella sua prima incursione nell’horror corporeo da “Existenz” (1999), immaginando un mondo in cui la nuova carne si sta evolvendo per adattarsi alle nuove tendenze autodistruttive dell’umanità.

Ad una prima visione può sembrare una paraculata il ritorno alla “nuova carne” da parte di Cronenberg ma in realtà il film è ben distante dall’essere un prodotto destinato ad un pubblico succube del fan service. L’immediatezza della trama che porta all’ ingresso e dell’anarchico Lang Daughtery (Scott Speedman) rende impossibile etichettare il film come uno spettacolo di fan service.

Da menzionare l’ottima prova di Wippet (Don McKellar) e Timlin (Kristen Stewart), due ansiosi agenti della National Organ Registry, che rimangono rapidamente estasiati durante la performance dell’intervento chirurgico. Interessante in particolare il personaggio di Timlin che, pur sembrando ingenua e sprovveduta, riesce a capire subito il ruolo della chirurgia come “nuovo sesso”

In conclusione: il ritorno di David Cronenberg non tradisce le aspettative con un film affascinante ed emozionante sotto ogni punto di vista, dalla regia al montaggio con una fotografia sporca e cupa, attori tutti in parte (tra i quali spicca una meravigliosa Lèa Seydoux) e alcuni personaggi veramente inquietanti. Un film assolutamente da non perdere sul grande schermo.

(Dani Ironfist)


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