Articolo a cura di The Crystal Lake Girl

LA RAGAZZA CHE SAPEVA TROPPO (1963)
L’ultimo film in bianco e nero diretto da Mario Bava è “La ragazza che sapeva troppo”, nel 1963. Il primo è stato “La maschera del demonio”, qualche anno prima. Poi la svolta al colore, che userà anche per enfatizzare le sue pellicole. E già si vedeva la sua capacità dell’uso della luce, e delle ombre, che diventano importantissime per il risultato finale.

Prima però, è oltre sì importante, parlare del plot del film.
Nora è una turista americana in visita a Roma. Viene ospitata da un anziana amica di famiglia, che però muore durante la notte. Nora, nel tentativo di cercare aiuto, si imbatte in un omicidio e vede tutto. O almeno crede. La ragazza, che è appassionata di libri gialli, vuole risolvere il mistero. Con l’aiuto del medico che curava la sua amica, ci prova. Non senza intoppi però!
Oltre all’uso delle luci e delle ombre, che nei momenti salienti creano una buona tensione, Bava si avvale dei semplici suoni ambientali, come lo sbattere di una finestra, o del cigolio di un letto, (“bellissima” la scena della morte iniziale, sia per atmosfera, che per inquietudine) che funzionano anche meglio di un jumpscare odierno.
Mario Bava si attiene comunque ad un plot improntato sul giallo, con una parte di indagine ben costruita, e una protagonista davvero all’altezza della situazione. Nora è una semplice ragazza, che, data la sua passione e la situazione in cui si è venuta a trovare, cerca, con gli espedienti investigativi che conosce tramite le sue letture, di risolvere il caso

E non si può di certo dire che ci si annoi, anzi, la tensione e l’attenzione rimane fissa dai primi minuti, fino agli ultimi. Mario Bava ci confonde, in un certo senso, perché allo spettatore meno introspettivo (e non è un offesa, in molti casi lo sono anche io) sembra dare diverse soluzioni, che poi però, messe, tutte insieme daranno quella finale.
A fare da spalla alla bella Leticia Roman, come già detto, molto apprezzata nella parte di Nora, per la sua genuinità, c’è un giovane John Saxon, nei panni del medico che poi si innamora di lei. Non ci possono essere parole denigranti per questo, che è effettivamente il primo giallo del regista, e che è, altresì considerato seminale per il genere.
Mario Bava si ispira ad Alfred Hitchcock, che ammirava, e crea una sorta di “moda” che ispirerà poi, qualche anno dopo, chi vorrà approcciarsi al giallo e al thriller nel cinema italiano.
Già dal titolo, che è palesemente un mix di “cose” Hitchochiane, tra i diversi omaggi inseriti.
Un gioiello molto elegante, ambientato in una delle più belle città d’Italia, che fa da sfondo a tutta la storia. E aggiungo infine, assolutamente da vedere prima o poi.

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