Articolo a cura di Dani Ironfist

TETSUO – THE IRON MAN (1989)
“Il corpo è carne e la carne è obsoleta.” Con questa premessa si apre “Tetsuo: The Iron Man” (1989), film culto giapponese firmato da Shinya Tsukamoto. Realizzato con un budget ridottissimo, in pellicola 16mm e con uno stile visivo frenetico, grezzo e disturbante, “Tetsuo” è una delle opere più radicali del cinema cyberpunk, capace di coniugare estetiche industriali, pulsioni sessuali e riflessioni post-umaniste con uno stile claustrofobico e un’allucinazione audiovisiva.

La trama di “Tetsuo” risulta semplice solo all’apparenza: un auto-feticista estremo è solito innestare componenti metallici nel suo corpo, quando l’ennesima cruenta applicazione causa una violenta reazione, spaventato scappa per la città, finendo investito da una coppia di fidanzati. Da qui inizierà a subire una misteriosa metamorfosi che lo trasforma progressivamente in un essere fatto di carne e metallo. La causa scatenante sembra essere proprio l’investimento di un enigmatico “metal fetishist”, figura che incarna la fusione patologica tra corpo e tecnologia. Questo “incontro” carico di valenze sessuali, violente, feticistiche dà inizio a un processo irreversibile che culmina in una mutazione totale: l’uomo diventa macchina, e la macchina desidera.
“Tetsuo – The Iron man” radicalizza i temi cardine del cyberpunk portandoli a una forma molto più estrema e quasi del tutto astratta ma a differenza di film come “Blade Runner”, dove la componente narrativa è centrale al film, Tsukamoto costruisce un’esperienza sensoriale dove il corpo umano diventa un campo di battaglia a causa delle sue pulsioni tecnologiche. Questo rende il metallo una sorta di virus, una forza parassitaria che penetra la carne, la corrode e poi la trasforma.

Per i circa settanta minuti di film si assiste ad una riflessione viscerale e antirazionale sulla crisi dell’identità nel mondo postindustriale con il protagonista che perde progressivamente la propria soggettività e viene divorato dalla materia tecnologica.
C’è un momento, mentre guardi “Tetsuo: The Iron Man”, in cui smetti di cercare una trama. È come quando sogni troppo a lungo e le regole del mondo si sciolgono, e tutto ciò che resta è materia e impulso. È allora che capisci che Tsukamoto non vuole raccontarti una storia. Vuole farti vivere un’infezione.

Stilisticamente sembra una reliquia estratta dai primi film espressionisti tedeschi, passando per “Eraserhead” di David Lynch e alcuni dei primi film di David Cronenberg; infatti, sono molti i rimandi a “Brood” e “Videodrome”, lo stesso Cronenberg prenderà spunto da “Tetsuo” per la realizzazione di “Crash”. “Tetsuo: The Iron Man” ha molte inquadrature iconiche, in gran parte grazie alla saggia decisione di girarlo in bianco e nero.
Il modo in cui il film è girato e montato può dare la sensazione di essere un film stridente perché è così abrasivo e veloce che può risultare confusionario e dare allo spettatore un senso di disorientamento ma c’è tanto stile in questo film perché siamo di fronte ad un’opera che trasuda tanta creatività.
Comparazione con “Videodrome” (1983)
Il confronto con il capolavoro di David Cronenberg non è buttato a caso, in “Videodrome” la carne è un’interfaccia: il protagonista Max Renn sviluppa una mutazione corporale in seguito alla visione di una trasmissione televisiva pirata. La televisione, in Croneneberg, non è solo uno strumento ma un virus che riscrive il corpo biologico attraverso la percezione visiva. L’organo sessuale e l’arma si fondono nel torace che Max sviluppa, un simbolo di penetrazione mediatica e di perdita dell’identità.
Allo stesso modo accade anche in “Tetsuo – The Iron Man” dove il corpo muta in risposta ad un trauma tecnologico, l’uomo che investe il feticista si trova risucchiato in un processo di ibridazione. Tuttavia, in “Videodrome” Cronenberg mette in discussione la relazione tra realtà e media. “Tetsuo” dal canto suo risulta più viscerale, fisico e concreto con il metallo che diventa una sostanza che devasta la carne, fondendosi con essa in modo pornografico e primordiale.
“Videodrome” non è l’unico film con cui si può comparare “Tetsuo – The Iron Man”, molte reminiscenze sono presenti ad esempio anche in “Akira”, il capolavoro d’animazione diretto da Katsuhiro Ōtomo.

Il film di Tsukamoto non evita la componente sessuale, anzi, la esalta a livelli raccapriccianti. Il desiderio è sempre presente, ma deviato. Lo si può riscontare nel metal-fetishist che si infilza con il bullone e si eccita nel dolore quando il pene si trasforma in una grande fresa assassina. In questo senso, “Tetsuo – The Iron Man” è un’opera profondamente cronenberghiana che richiama fortemente i sopra citati film con cui condivide il gusto per la carne e il sesso meccanizzato.
“Tetsuio – The Iron man” è molto di più di un film, è un’esperienza psichica che diventa la cronaca di una mutazione rappresentando simbolicamente una crisi dell’essere umano nella modernità. Tsukamoto descrive un Giappone dove l’individuo non è più un uomo ma un ibrido doloroso, tragico e ossessionato dal desiderio del metallo.

Nel finale, l’abbraccio tra due protagonisti ormai entrambi trasformati in un’unica creatura cibernetica diventa al tempo stesso un’apocalisse per una nuova genesi: “We Can Rust the Whole World and Melt it into a Lump of Metal”. Il futuro non è umano. È ruggine, acciaio e impulso erotico distorto.
Un capolavoro unico e immortale che dovete riscoprire dato che il film in questi giorni si trova nei cinema italiani grazie a Cat People distribuzione che sta portando nelle nostre sale molti dei film di questo grande autore. Signore e signori, giù il cappello di fronte ad uno dei più grandi cineasti di tutti i tempi: Shinya Tsukamoto


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