Presence (2025)

Articolo a cura di Dani Ironfist

PRESENCE (2025)

“Presence” del 2025 è l’ultima opera del regista Steven Soderbergh molto attivo nel cinema anche come produttore, sceneggiatore e direttore della fotografia. Conosciuto soprattutto per la trilogia “Ocean’s” si cimenta per la prima volta nell’horror con una tecnica davvero innovativa.

Hai presente quei film in cui sembra che non accada mai niente ma che in qualche modo ti si piantano dentro? Ecco, “Presence” è uno di quelli. Non tanto un film da guardare, quanto un film da vivere e attraversare come un ricordo che ritorna nel momento in cui meno te lo aspetti.

Steven Soderbergh fa una cosa strana, apparentemente semplice: mette la macchina da presa su un fantasma e vediamo tutto dal punto di vista della “presenza”. Uno sguardo che non tocca, che non può intervenire. E allora il film diventa una lunga attesa. Non tanto di un evento, quanto di un contatto. Un segno. Un riconoscimento.

Detto così può sembrare l’ennesima “ghost story” trita e ritrita ma bollarlo così può risultare un errore perché come dice il titolo parla si di una presenza non specifica ma osserviamo tutto dalla prospettiva di qualcosa che si trova confinata in una casa vuota. Non è specificato da quanto tempo si trova nella casa e neanche quale sia il suo scopo ma attraverso la telecamera introspettiva di Steven Soderbergh vediamo principalmente una famiglia che cerca di reprimere i suoi fantasmi.

Il film racconta la storia della famiglia Payne che, dopo un tragico evento che sconvolge la vita della figlia minore Chloe, decidono di trasferirsi in una nuova casa fuori città per ripartire da zero. Presto però Chloe si accorge di qualcosa che non va nella sua camera. I genitori non gli credono ma cambieranno idea quando le manifestazioni diventeranno impossibili da ignorare fino a quando l’inquietante presenza inizierà ad influenzare le loro vite.

Sebbene sappiamo che la maggior parte degli horror sulle case infestate viene proposto dalla prospettiva di chi assiste o viene impossessato da uno spettro, “Presence” capovolge la classica storia di fantasmi con un’innovazione sofisticata. Il regista e lo sceneggiatore David Koepp raccontano la storia da un altro punto di vista. Certo, non è una novità che un fantasma sia il protagonista principale in un film (“The others” 2001 e “A Ghost Story” 2017 sono un esempio) ma Soderbergh e Koepp hanno scritto “Presence” con una forma tecnica e narrativa notevole: praticamente un intero film girato con macchina da presa usata come personaggio trasparente.

Non ci sono urla, non ci sono mostri, non c’è musica a dirti quando devi spaventarti, non ci sono inutili jumpscare che ti fanno saltare dalla sedia e altri cliché del genere. Ciò che fa più paura, forse, non è nemmeno il fantasma. È ciò che quel fantasma rappresenta: una perdita che non è stata accettata, una colpa, una distanza che nessuno riesce a colmare e l’apparente disgregazione di una famiglia. La presenza è in qualche modo un espediente per mostrare il vero dramma di quella famiglia e cioè i rapporti problematici tra i vari componenti che con i loro comportamenti si feriscono l’un l’altro. Il personaggio più problematico non è la figlia Chloe, nonostante abbia vissuto il trauma della morte della migliore amica, ma la madre. Ha infatti una spiccata preferenza per il figlio maggiore per il quale sarebbe disposta a fare di tutto, snobbando la figlia e un atteggiamento di superiorità nei confronti del marito che di fatto va a spaccare la famiglia in due e crea disagio e sofferenza.

Il film non cerca di fare paura perché è più di un horror, è una meditazione sul lutto, sulla colpa e sull’impossibilità di rimediare quando il tempo non c’è più. Alla fine del film ciò che ci resta addosso è una strana commozione che ti stringe alla gola, ti svuota con calma ed è forse questo il suo più grande merito, ci ricorda che ogni presenza ci porta con sé un’assenza e che guardare non basta per capire.

In conclusione, “Presence” è thriller psicologico sofisticato, silenzioso e raccontato dal punto di vista di un “fantasma’” con lunghi piano sequenza, inquietudine sottile e sguardi che non trovano risposta. Un bellissimo esperimento visivo da vivere più che da guardare.


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