Articolo a cura di Dani Ironfist & Frina

THE SHROUDS – SEGRETI SEPOLTI (2024)
A distanza di due anni da “Crimes of the Future” (trovate la recensione qui), pellicola che per certi versi riportava David Cronenberg al body horror e alla nuova carne in un futuro funestato da cambiamenti biologici. Il regista torna dietro la macchina da presa per quello che probabilmente è il film più profondo e personale della sua carriera.
Karsh (interpretato da Vincent Cassel) è un imprenditore rimasto vedovo che inventa una tecnologia che permette alle persone di poter osservare in tempo reale tramite app il decomporsi dei propri cari all’interno delle loro bare. Una notte vengono profanate diverse tombe, tra le quali quella della sua defunta moglie, Karsh si mette così alla ricerca dei responsabili tra incubi e il dramma della perdita che funestano la sua esistenza.

Prendendo spunto dal suo cortometraggio del 2021 “The Death of David Cronenberg” in cui il regista canadese riusciva ad osservare se stesso dopo la morte, con “The Shrouds” segna un ritorno personale e inquieto del regista canadese che si confronta direttamente con il lutto e il rapporto tra corpo, spirito e tecnologia in un film scritto con una cura maniacale, che risulta spietato ma anche intriso di dolore intimo che pulsa ad ogni inquadratura influenzato molto probabilmente dal dolore del regista stesso per la scomparsa di sua moglie avvenuta nel 2017. “The Shrouds” è un’opera carica di tensione esistenziale che va oltre il semplice concetto di body horror. In questo film David Cronenberg non punta molto sullo scioccare lo spettatore ma quanto a elaborare, e ci riesce costruendo un film che mescola dramma, fantascienza filosofica e paranoia.
Come accennato sopra, la scomparsa della moglie ha influito molto la realizzazione del film, non è un caso che sia stato scelto Vincent Cassel nel ruolo principale a cui viene dato un look che ricorda quello simbolo del regista canadese che tutti noi conosciamo incanalando molto del dolore che ha vissuto in questa sceneggiatura.

Come sostituto di Cronenberg, Vincent Cassel è eccellente, trasportando il dolore del suo personaggio con un’eleganza fisica che trascende la sua età, così come è perfetta Diane Kruger nel doppio ruolo della moglie e Terry, la sorella della defunta, portando un’energia vivace al personaggio di Terry che cerca di risolvere i misteri di Karch, ricordando sotto certi aspetti il personaggio di Jennifer Jason Leigh in “eXistenZ”.
Ci troviamo in un periodo in cui siamo pieni di registi che, arrivati ad una certa età, propongono nuove opere che riflettono le loro vite e la loro carriera. Nonostante non sia un requisito, molte di queste opere sono di natura autobiografica e rispecchiano e incarnano molti dettagli dei registi sia spiritualmente che fisicamente e, come vedrete, anche “The Shrouds” non fa eccezione. Con questo film David Cronenberg si ritrova ad entrare in questo giro con la sua peculiare prospettiva offrendo un’opera non priva di difetti ma che risulta molto profonda e che riesce a colpire lo spettatore.

Sotto l’aspetto visivo “The Shrouds” è un film sobrio ma denso di inquietudine con toni molto freddi e spesso tendenti al blu e al grigio come se il mondo stesso fosse in lutto e Cronenberg con la sua regia distaccata amplifica la tensione senza l’utilizzo dei jumpscare o effetti shock ma crea un’angoscia sottile che sale scena dopo scena. In tutto questo Cronenberg non cerca di sorprenderci ma vuole scolpirci addosso tutto il dolore del protagonista e farcelo toccare con mano con lunghi e profondi dialoghi.
Siamo di fronte ad un film freddo che non piacerà per la sua poca accessibilità a chi cerca una trama lineare o un classico climax narrativo anche perché nella seconda metà il film rallenta e si concentra su dialoghi molto densi e quasi filosofici che possono risultare pesanti per lo spettatore non abituato a questa tipologia di film.
Alla fine, “The Shrouds” non parla della morte come evento, ma del lutto come condizione esistenziale. È un film in cui il dolore è endogeno, come un malware che infetta il sistema interiore mettendo Karsh nella condizione di non riuscire più a distinguere tra memoria e presente, tra realtà e visione e questa confusione non è altro che l’essenza stessa della sua condanna.

Durante tutto il film si possono notare anche alcuni specchi narrativi con altre opere come, ad esempio, “Solaris” di Andrej Tarkovskij (anche qui il defunto ritorna come riflesso mentale) o come a in “Possessor” di Brandon Cronenberg dove l’identità diventa liquida, disgregata e contaminata dal trauma. In queste opere la perdita non è mai superata ma è inglobata, metabolizzata fino a diventare parte del proprio essere.
In definitiva, “The Shrouds” ci ricorda una verità scomoda e radicale: la morte non vuole essere vista, non vuole schermi o app ma solo sparizione, oblio, silenzio. David Cronenberg, con la freddezza clinica e la malinconia che lo contraddistinguono, ci mette davanti a un paradosso moderno: più ci aggrappiamo ai resti digitali di chi abbiamo perso, più perdiamo noi stessi.
“The Shrouds” non è film per tutti e non vuole esserlo negli intenti perché siamo di fronte ad un’opera cupa, complessa e profondamente personale con David Cronenberg che mette in scena il proprio dolore in un horror dell’anima.
Di seguito il cortometraggio “The Death of David Cronenberg”:

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