Come true (2020)

Articolo a cura di Dani Ironfist

COME TRUE (2020)

Presentato al Trieste Science+fiction festival nel 2020, “Come true” è un film canadese diretto da Anthony Scott Burns che ne ha curato anche la sceneggiatura e uscito questo mese in Italia grazie alla Midnight factory.

Il film racconta la storia della giovane Sarah che vive una vita complicata e perseguitata da sogni oscuri, situazione che le crea molti problemi nella vita. Quando un giorno risponde ad un annuncio sembra che la sua vita stia arrivando ad una svolta. Sarah si offre volontariamente di partecipare a uno studio sul sonno tenuto presso una clinica. Quello che all’inizio sembra un netto miglioramento della sua vita viene messo in ombra da eventi sconvolgenti che portano a peggiorare i suoi incubi e a fonderli con la realtà.

Il tema dei sogni nel mondo dell’horror/thriller è stato spesso esplorato, sono esempi il classico di Wes Craven “Nightmare – dal profondo della notte (1984) o il più recente “Slumber – il demone del sonno” (2017) una tematica che viene riproposta in “Come true” dal regista canadese in una chiave più psicologica.

Anthony Scott Burns mette in scena un horror/sci-fi elegante, con un’estetica analogica di notevole impatto con colori azzurri e blu, luci al neon, una potente colonna sonora e un’intensa Julia Sarah Stone nell’interpretare il personaggio principale del film.

La storia d’amore presente all’interno della storia è forse l’anello più debole perché a mio avviso non si incastra perfettamente nel contesto narrativo del film a causa anche di una sceneggiatura che barcolla in alcuni punti, difatti non è molto chiaro il motivo per cui Sarah combatte contro i propri sogni. “Come true” ha comunque dalla sua molti punti a favore, il paesaggio onirico ricreato è inquietante e meraviglioso allo stesso tempo e ricordano vagamente alcune atmosfere molto care a John Carpenter ricreando in un certo modo quello che nella parte da sveglia sono le corse in bicicletta della giovane Sarah senza una meta.

Nel corso del film si assiste a un continuo aumento della tensione e della sensazione che Sarah sia in pericolo a causa di personaggi onirici che acquisiscono sempre di più la capacità di invadere la realtà. Questo sembra accadere perché gli sperimentatori si spingono troppo oltre.

Se pur il film non sia perfetto in alcune parti resta una pellicola meravigliosa, emozionante, coinvolgente e ammaliante con una lunga e straordinaria scena di sonnambulismo che porterà ad un finale che nonostante sappia di già visto è molto sorprendente.

Anthony Scott Burns è un regista dalle enormi potenzialità che siamo sicuri riuscirà a non incorrere più in alcune imperfezioni che si notano in “Come true”, perché se le premesse sono queste il regista canadese ci regalerà altre grandi pellicole.

Nota di merito anche per bravissima attrice Julia Sarah Stone che si cala perfettamente nei panni del suo personaggio e che sicuramente rivedremo in futuro.

In definitiva “Come true” è un film da vedere e possedere nella propria collezione, e che sicuramente rientrerà nei nostri top film usciti in Italia nel 2021.

Il film è disponibile in dvd/blu-ray doppiato in italiano e distribuito in Italia da Koch media.

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Reazione a catena (1971) – 50 anni fa Mario Bava inventava un nuovo genere

Parlare di Mario Bava per me è sempre un’immensa goduria, starei qui a ore e scrivere del cinema del grande maestro.
Con questo articolo mi voglio soffermare su un film che ha rivoluzionato il modo di fare cinema horror. Sto parlando ovviamente di “Reazione a catena” (“A bay of blood”), uscito nel dicembre del 1971. Prima di arrivare a quello definitivo, durante la stesura della sceneggiatura del film, erano stati presi via via in considerazione diversi titoli da “Così impararono a fare i cattivi” ad “Antefatto” fino a giungere al titolo definitivo “Reazione a catena” anche se il produttore Giuseppe Zaccariello avrebbe preferito “Ecologia del delitto” che, a mio parere, rendeva bene l’idea geniale che si cela dietro a questa pellicola.
“Reazione a catena” è stato un film rivoluzionario per l’horror, uno di quei film che hanno posto le basi per lo sviluppo del genere.
Mario Bava aveva comunque lasciato il segno anche con altre pellicole precedenti a questa come ad esempio “Sei donne per l’assassino” del 1964, un film che racconta di un assassino che uccide belle donne che frequentano una boutique. In questo film sono presenti alcuni stilemi che verranno ripresi in seguito da altri registi. Ad esempio, ritroveremo l’assassino con i guanti in pelle nera in molti film di Dario Argento, così come una vittima che viene ustionata al volto con acqua bollente. Una delle vittime viene inoltre assassinata con una specie di guanto con artigli al posto delle dita (eh? Chi ha detto Freddy Kruger?).

Quando si parla di “Reazione a catena” ci rendiamo conto che ci troviamo davanti al prototipo dello slasher, un film che ha ispirato molte pellicole nei decenni successivi, basta pensare a “Black Christmas” (1974) di Bob Clark, “Halloween (1978) di John Carpenter o ai primi due capitoli della saga di “Venerdì 13”.
Il film fu girato da Mario Bava in totale libertà, il produttore Giuseppe Zaccariello gli diede carta bianca per quanto riguarda la sceneggiatura che verrà scritta dallo stesso Bava insieme a Roberto Leoni dopo che la coppia di sceneggiatori Franco Barbieri e Dardano Sacchetti fu licenziata.
Da questo punto in poi potrebbe essere presente qualche spoiler (cercherò ovviamente di limitarmi) ma, poiché il film è datato, se non l’avete visto è una grave mancanza, soprattutto se vi dichiarate fans dell’horror.

La magnificenza con cui si apre il film la si nota subito da quel taglio gotico che da sempre contraddistingue lo stile registico e fotografico del cinema di Mario Bava con quel taglio di luci meraviglioso.
“Reazione a catena” parte subito con il botto con un’anziana signora in carrozzina proprietaria della baia dove si svolge la storia che viene strangolata e, subito dopo, l’assassino viene a sua volta ucciso a pugnalate da una misteriosa figura. Questo duplice omicidio darà il via ad una giostra d’interessi legati ad una lucrosa speculazione edilizia sulla baia.
A farne le spese saranno, tra gli altri, un gruppo di turisti che una mano ignota elimina nelle maniere più efferate possibili, ed è solo l’inizio della storia che porterà ad un finale pazzesco. Memorabile la scena dell’omicidio della coppia che viene uccisa a letto mentre sta facendo sesso (i due vengono trafitti entrambi da una lancia). Questa scena verrà, tra l’altro, copiata spudoratamente in “Venerdì 13 – L’assassino ti siede accanto”, roba veramente da denuncia.

Se masticate un po’ di horror questa scena vi ricorderà qualcosa...


Nel cast troviamo molti nomi interessanti: Claudio Camaso (fratello del grande Gian Maria Volontè), la compianta Laura Betti (grande amica di Mario Bava), Luigi Pistilli, Claudine Auger e Chris Avram.

É davvero molto triste constatare come la rivalutazione postuma del maestro sia avvenuta grazie all’amore sconfinato nei confronti di Mario Bava da parte di alcuni importanti registi stranieri come Joe Dante, Quentin Tarantino, Tim Burton e Martin Scorsese. Quest’ultimo, tra l’altro, aveva inserito tra i suoi film preferiti di sempre “La frusta e il corpo” (1963).
Anche la prestigiosa rivista cinematografica francese “Cahiers du cinèma” si accorse del valore del regista e investì Mario Bava della carica di “auteur” già dal suo esordio con il capolavoro “la maschera del demonio” del 1960.
La dimostrazione poi di quanto tutto questo sia vero è oggi testimoniabile in quanto molti film sono usciti negli ultimi anni in home video in meravigliose edizioni in HD come se fosse stato scelto di riparare al silenzio degli ultimi decenni, decenni in cui le maestose opere del maestro furono trattate con criminosa sufficienza. Viene da domandarsi cosa sarebbe successo senza le dichiarazioni dei sopracitati registi
Mi dà ancora più fastidio leggere tutt’oggi di gente che si proclama esperta di cinema di genere e che considera come capostipite dello slasher “Halloween” di John Carpenter. Senza ombra di dubbio il film di John Carpenter che, ricordiamoci, ha avuto la fortuna di disporre di un budget più elevato e, forse, sotto certi aspetti, è anche più bello ma se si parla d’ispirazione è inutile girarci intorno, si torna sempre da Mario Bava, come nei casi citati ad inizio articolo.

Ad oggi “Reazione a catena” rimane uno dei più grandi capolavori horror/thriller italiani: ricco di suspense, splatter, intrighi, cinismo e una buona recitazione.

Concludo dicendovi che se amate il grande cinema e in particolare l’horror e avete sempre snobbato il grande maestro Mario Bava dovete fare un grande mea culpa e recuperare tutta la sua filmografia da “La maschera del demonio” del 1960 a “Shock” del 1977, poiché Mario bava è stato un grande in tutti i generi che ha esplorato. Fatto questo vi si aprirà davanti un mondo.
Pensate solo al fatto che il film “I tre volti della paura” del 1963 nella versione inglese portava il titolo di “Black Sabbath”. Tony Iommi il leader della band omonima ha sempre dichiarato di aver dato il nome al gruppo dopo aver visto il film di Mario Bava traendo spunto dal film anche per la splendida omonima canzone.

Dani Ironfist

Blood hunt (2017)

BLOOD HUNT (2017)

“Blood hunt” è un film indipendente australiano diretto da Sam Curtain e scritto dallo stesso regista in collaborazione con Thomas Roach e Danny Beaton e distribuito in Italia dalla Tetro video distribution.

Il film racconta la storia di una giovane e felice coppia che parte per un tanto desiderato viaggio, durante il viaggio però a causa di un guasto alla macchina s’imbattono in tre individui che li spingeranno in un vortice di violenza e sangue.

Il film è chiaramente ispirato alla pellicola del 2004 “Wolf creek” del regista australiano Greg McLean oltre che al classico film di Meir Zarchi “I spit on your grave” del 1978.

“Blood hunt” è una pellicola low budget che si rifà al filone rape & revenge dove il regista pesca a piene mani tracciandone le classiche linee guida.

Se da una parte la trama è la classica di questo sottogenere, il regista ha dalla sua parte un ottimo gruppo di attori molto credibili nei loro ruoli creando così un’alchimia che rende il film molto convincente confermando che nonostante il basso budget a disposizione con dei giovani talenti si può fare grandi cose e spingersi oltre ogni limite.

I due protagonisti principali interpretati da Dean Kirkright e Kahli Williams risultano molto credibili così come i tre pazzi molto spaventosi e odiosi fin dalla prima apparizione e senza alcun rispetto per la vita umana. Tra inseguimenti di auto, aggressioni sessuali, percosse brutali e accoltellamenti sarà difficile staccare gli occhi dallo schermo.

Una fotografia scarna e sporca rende ancora di più l’idea di quello che il regista vuol fare intendere sulla sofferenza dei nostri protagonisti rendendo il film molto ansiogeno e ricco di tensione, complice anche una colonna sonora ossessiva e martellante.

Per fortuna, nonostante vengano mostrate molta cattiveria e brutalità, la violenza sessuale è al minimo rendendo questo momento del film più sopportabile (ndr: personalmente non sopporto le scene di violenze sessuali sulle donne troppo lunghe).

Nonostante la tematica sa già di rivisto, in “Blood hunt” quello che funziona maggiormente è la regia, il modo in cui la camera da presa si muove in uno stile naturale che ti fa sentire parte di quello che stai guardando dando un aspetto molto realistico al film e facendoti immedesimare nei protagonisti, autori di due prove eccellenti.

“Blood hunt” farà la gioia di chi ama questo sottogenere e di chi ha amato “I spit on your grave” o il più recente “Revenge” del 2018. Sebbene Sam Curtain con “Blood hunt” omaggi le pellicole sopracitate offre anche spunti di originalità che funzionano davvero bene durante tutto l’arco narrativo del film.

In conclusione: “Blood hunt” è un film crudo e violento che offre anche spunti di riflessione e che porterà lo spettatore ad immedesimarsi nei protagonisti, tutto merito come detto di una regia e di un gruppo di attori davvero ottimi.

Un buon debutto quindi per il regista australiano che ci regala un film dai risvolti interessanti e tutt’altro che disprezzabile che lascia  intravedere in Sam Curtain un regista dalle enormi potenzialità.

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Dani Ironfist